°°Lettera Aperta al Sindaco Giulia Deidda°°

Lunedì 17 febbraio 2020 sulla pagina facebook pubblica del sindaco di Santa Croce Sull’Arno (uno dei comuni che costituiscono quello che viene chiamato “Comprensorio del Cuoio” per la lavorazione delle pelli animali) è comparso un post-vituperatio nei confronti degli attivisti animalisti di Milano (Iene Vegane) che in questi giorni hanno manifestato contro l’uso della pelle a San Babila.
La protesta pacifica ha visto attivisti e attiviste spogliarsi in piazza pubblica per dire no all’abitudine di indossare la pelle di altri esseri viventi.

Gli attivisti di Iene Vegane



Il primo cittadino santacrocese, a mio avviso, ha utilizzato toni poco consoni al suo ruolo, mettendo per iscritto che “viene da pensare che gli animalisti si siano spogliati degli abiti ma anche del cervello” e che chi trova un nesso tra industria conciaria e sostanze velenose “è idiota“.
Termini e aggettivi decisamente esagerati.

Parlando degli attivisti, si è lasciato intendere che animalisti abbiano “mattinate libere per fare flash mob di pessimo gusto e scarsa sostanza” mentre chi “produce la pelle” (di altre creature) lavora.

Riporto lo screen per intero del post in questione.

Riporto anche quanto scritto sul cartello dagli attivisti: l’unica pelle che dovremmo indossare è la nostra”.
Cosa c’è di sbagliato in tale affermazione?
Forse da fastidio l’idea? Magari perché se ciascuno indossasse la propria pelle finirebbe un business mondiale dove gli umani guadagnano soldi e gli animali perdono la vita?


Al sindaco Giulia Deidda che tanto difende il lavoro che caratterizza il paese che le ha concesso per la seconda volta di essere da lei rappresentato vorrei lanciare un messaggio pubblico.


Punto primo: lo stereotipo animalista-fannullone.

Come gli attivisti di Iene Vegane, anche io do voce agli animali.
In modo diverso, ma ciascuno ha il diritto di manifestare nel modo che più lo aggrada, dal momento che il diritto di manifestare il proprio pensiero è stato conquistato grazie a chi è sceso in piazza o ci ha rimesso la vita per ottenerlo.
Ciò che mi preme dire non solo a Deidda ma a tutti coloro che concordano con lei, è che difendere le altre specie non implica per forza l’essere senza impiego e con le “mattinate libere”. Si può manifestare per il riconoscimento dei diritti di coloro che ancora non ne hanno lavorando al contempo. O lavorando, studiando e gestendo un blog, come nel mio caso.
Ed è lodevole, a mio avviso, pensare anche alla vita degli altri a cui viene negata, e non soltanto alla propria.

Spogliarsi del cervello?
I più grandi pensatori che hanno fatto la storia hanno espresso parole di solidarietà verso la natura e gli animali calpestati.
Si faccia una cultura in merito, signora Deidda..



Secondo punto: le offese a chi accosta la produzione di pelle a sostanze tossiche.

Non mi intendo di agenti inquinanti (ho scelto tutt’altro tipo di studi) e di come le aziende e i prodotti chimici da esse impiegati possano influire sull’ambiente quindi non potrò parlare in termini tecnici, ma trovo alquanto imbarazzante l’utilizzo di termini offensivi quale “idiota“.
Se definiamo in modo tale chi cerca di difendere l’ambiente manifestando in prima persona, cosa dovremmo dire di coloro che sono stati incolpati di aver riversato in Arno sostanze inquinanti?
Senza tanto fingere di non vedere, forse è il caso di comprendere quanto l’industria conciaria (e non solo) possa essere d’impatto sull’ambiente che ci circonda.
E’ palese, è anche nell’aria: in alcune zone del Comprensorio del Cuoio non si respira certo gelsomino indiano.
Inoltre, non si parla solo della lavorazione delle pelli degli animali scuoiati quando si fa riferimento all’inquinamento.
Si parla prima di tutto del numero di animali scuoiati, la causa principale dell’enorme cambiamento climatico che stiamo imponendo al pianeta.
La Deidda ha una vaga idea di quanti esseri senzienti vengano fatti nascere col solo scopo di perire?
Le emissioni di CO2 dovute agli allevamenti non sono un toccasana per la natura che ci sta ospitando, e che stiamo piegando sotto il peso delle nostre volontà.
Se muore la natura, moriamo anche noi.
E di aziende produttive in un pianeta al collasso ce ne facciamo ben poco.

Qui di seguito un grafico pubblicato da WIRED sull’impatto ambientale della carne di animali allevati messo a paragone con elementi vegetali, in risposta a chi dice che la lavorazione della pelle avviene con gli scarti dell’industria alimentare.


Punto terzo: la vita degli animali non vale una banale borsa, o un paio di scarpe.

Sin dai tempi delle elementari vedo difendere l’industria conciaria con le unghie e con i denti. Se penso alle iniziative dei consorzi conciari per iniziare i bambini all’uso della pelle animale mi vengono i brividi.
Provo pena nel rivivere ricordi collegati alla mia quinta elementare, dove la mia classe ha partecipato al progetto “la pelle nel mondo”.
C’era un premio in palio per i vincitori e quella vincita ci motivava.
Mica qualcuno si era preso l’impegno spiegarci cosa stavamo sostenendo, di cosa si trattasse per davvero. Penso che qualsiasi bambino se sapesse la verità proverebbe rabbia verso gli adulti. Se mi avessero detto che la pelle che avevamo a disposizione era stata tolta dal corpo di una mucca, o di un rettile, sarei scoppiata a piangere e mi sarei rifiutata di maneggiarla per attaccarla a un cartellone.
Per fortuna, di tante campagne ad hoc per i piccoli consumatori del domani, qualcuno si avvale del pensiero indipendente e va oltre.
Io sono andata oltre.
E non solo io, con mio grande sollievo.
Sono sempre più numerose le persone che hanno compreso cosa significa avere addosso i resti di un essere vivente che voleva vivere.
Nessuno si sognerebbe mai di mettersi addosso un essere umano scuoiato, contro il suo volere, ma se si parla di animali è concesso.
Tale concessione è data dal forte antropocentrismo che caratterizza il genere umano: la specie che si sente suprema, al di sopra di tutti e di tutto.
La vita degli altri abitanti del pianeta non ha valore, se non quello commerciale ed economico. Così ci siamo ridotti ad ammazzare, negando l’esistenza agli animali, per sentirci artisti nel “lavorare” lo strato protettivo dei loro muscoli.
Ci sentiamo cool, fashion, e coi loro resti ne facciamo anche sfilate.



Spero con tutto il cuore che arriveremo presto a capire, a livello collettivo, che uccidere qualcuno per ricavarne borse, cinture, giubbotti e scarpe è giusto un po’ immorale. Non vorremmo assolutamente che fosse fatto con noi, o coi nostri figli, no? Riflettiamo su questo.

Nel frattempo i cittadini che si stanno svegliando dal torpore indotto dalla cultura basata sullo specismo più efferato sono sempre di più.
Non si può ostacolare un cambiamento la cui ora è giunta, diceva Victor Hugo. E l’ora di abbandonare la pelle degli animali per passare a materiali più decorosi è arrivata. Ne sono un esempio lampante le nuove start-up che stanno ricavando “pelle vegetale” da scarti di frutta, o piante.

Quarto punto: gli animalisti sono contro i lavoratori?

Gli attivisti sono persone del presente che lottano per la conquista di diritti che saranno normalità nel futuro. Esattamente come secoli fa si è lottato per i diritti delle persone di colore (che adesso lavorano nelle concerie accanto agli italiani) o come quelli delle donne.
Rassicuro chi si sente minacciato da coloro che difendono le creature scuoiate: non vogliamo la fine del vostro lavoro, vogliamo un cambiamento positivo del vostro lavoro.
Vorremmo vedervi tornare a casa puliti, sia nella divisa che nella coscienza, e guadagnare senza che qualcuno abbia pagato con la propria vita.
Perché sono convinta che molti di voi se non fosse costretto a quel tipo di lavoro vorrebbe fare altro. Sono inoltre convinta che molti di voi cercano di tenere lontana la connessione pelle conciata-animale vivo, perché fa male pensarci ed è umano provare dolore, compassione, empatia.
Tornando al discorso dell’occupazione, la storia ha sempre dimostrato che il progresso etico ha visto l’eclissarsi di impieghi sì, ma per dare vita a nuove tipologie di lavoro.
Accadrà anche con la lavorazione dei resti animali.


Il Comprensorio del Cuoio, cara Giulia Deidda?
Spero che un giorno diventi quello del Simil Cuoio.


Carmen Luciano

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Pubblicato il 19 febbraio 2020, in ° Critiche ° con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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