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°° [IPPOASI] Lettera di un Cavallo °°

Condivido con voi una lettera speciale di Ippoasi dedicata alle persone vegan che credono che l’equitazione combaci con la filosofia di vita antispecista.

Ciao amic@,

non so se questa mia lettera è rivolta proprio a te, ma probabilmente presto lo capirai da sol@.

Mi chiamo Oliver, sono nato in Italia nel 1989: classico cavallo destinato al mondo delle corse al trotto, quelle con il calesse dietro per intenderci. Ho trascorso qualche anno di “carriera” a resistere ai miei “padroni”, che usavano spesso maniere molto forti nei miei confronti, per poi finalmente giungere, dopo svariate vicissitudini e una serie di colpi di scena, ad una vita degna e libera in un Santuario.

Scrivo a te, car@ uman@ che stai leggendo.

Scrivo a te che in un momento particolare della tua vita ti trovi come tanti altri in una forte contraddizione, anche se non ben compresa.

Scrivo a te che ti definisci “vegan@” e rispettoso verso gli altri animali, ma che in fondo non ti poni sufficienti domande sul tuo rapporto con i miei simili.

Scrivo a te nella speranza che tu possa semplicemente conoscermi meglio, per capire che certe tue attuali convinzioni non hanno delle reali fondamenta e che basterebbe solo alzare gli occhi per vedere e comprendere le cose da una prospettiva decisamente più alta, più saggia, più evoluta.

Scrivo comunque anche a te che minimamente metti in discussione l’approccio utilitaristico nei confronti di ogni altro animale, persino della tua stessa specie, a te che vivi permettendo che l’uomo bianco, maschio, ricco, adulto ed eterosessuale sia al vertice di ogni piramide del potere. Probabilmente ignorerai le mie parole, ma almeno avrò potuto esprimerti alcuni concetti, che spero possano incuriosirti, disturbarti, ronzarti dentro.

Ti scrivo per parlarti di noi, per permetterti di capire chi siamo: per fare questo non posso che iniziare a raccontarti dei miei fratelli e delle mie sorelle, quelli ancora più fortunati e fortunate di me, i selvatici. I reali e unici possibili riferimenti quasi intatti della nostra specie.

CHI SIAMO

Allo stato brado, cioè l’unico veramente naturale (nel quale tutti dovreste conoscerci), noi cavalli viviamo in branchi liberi di muoverci in lande di superficie sconfinata e immensa. Compiamo ogni giorno dai 60 agli 80 km, per la maggior parte del tempo camminando, ma concedendoci ogni tanto anche qualche sfrecciata nonostante il terreno impegnativo. A tal proposito voglio svelarti una curiosità, sempre con l’intento di affascinarti un po’: in natura abbiamo il primato assoluto di essere gli animali più veloci in rapporto al nostro peso! Qualunque altro animale corra più veloce di noi, lo fa perché più leggero. Questa caratteristica ci rende un perfetto concentrato di muscoli e potenza che lanciandosi su un terreno accogliente e pianeggiante arriva anche a superare i 70 km orari. Che forza!

Non crederai che siamo buoni a correre solamente su terreni facili, vero?

A volte voi umani ve ne scordate, ma in natura tutto è perfetto e, grazie al terreno pieno zeppo di sassi (la steppa è d’altronde la nostra zona di origine, con un ambiente molto brullo, una vegetazione secca e rada), abbiamo sviluppato grande capacità di camminare anche in situazioni rocciose, con grande beneficio ai nostri piedi. Questo è infatti il modo perfetto di curare e fortificarci le unghie: più camminiamo sui sassi, più i nostri piedi diventano duri e quindi resistenti. Sappiamo che alcuni umani che ci hanno osservati liberi hanno paragonato il nostro piede alla spada dei guerrieri Samurai, da tanto che sono forti.

Non appena veniamo al mondo siamo immediatamente protetti dall’intero branco, in primis ovviamente dalla nostra mamma, che ci accompagna fino al naturale svezzamento, che non avviene di certo a sei mesi di vita: anche se molto presto cominciamo a mangiucchiare erba e altri vegetali come fanno gli adulti, è solo dopo un po’ di mesi dalla nascita che diventiamo realmente autonomi e capiamo che cosa ci fa bene e che cosa ci fa male.

Tanta, tanta erba secca e quindi poco calorica: questo è quello che più troviamo negli ambienti dove ci siamo evoluti e per tale motivo abbiamo bisogno di mangiare per tanto tempo al giorno, arrivando quasi a superare le 15 ore!

Perciò niente praterie verdi, nessuna distesa desertica: a noi servono ambienti dove la vegetazione sia presente ma non troppo verde, altrimenti ci potremmo sentire male. “Male” perché se mangiassimo per 15 ore erba in crescita rischieremmo di assumere un carico eccessivo di alcuni elementi come lo zucchero, presente in abbondanza in essa.

Giochiamo e apprendiamo direttamente dal branco le regole della vita, assimilando inevitabilmente l’importanza e l’esigenza di stare uniti, anche se ad un certo punto diventiamo adulti e dobbiamo trovare una nostra strada. Non restiamo mai soli, ma dato che nel branco ci sono tradizioni ben rodate nel tempo, ognuno deve cercarsi un altro posto dove stare. Per le femmine è tutto più facile, poiché saranno ben accolte dagli altri, mentre i maschi devono ingegnarsi di più, arrivando ad organizzarsi in gruppi che effettuino vere e proprie incursioni volte a prelevare femmine dagli altri branchi.

È proprio così, non sto mentendo! Anche se da adulti i “maschi” diventeranno rivali, in questo delicato momento di passaggio essi si aiutano a vicenda, per permettere ad ognuno di creare il proprio branco e garantire in questo modo la sopravvivenza della specie. D’altronde questa è una priorità assoluta della nostra esistenza, che forse qualcun altro ha perso nell’arco degli anni.

Giungerà infine anche il nostro momento di essere genitori: il ciclo si ripeterà e ogni esemplare porterà in sé fino alla fine, anche per 40 anni, tutta la saggezza da trasmettere ciclicamente ai nuovi arrivati. Essa comprende anche l’attenzione nei confronti dei predatori e di tutto ciò che potrebbe essere fonte di pericolo.

Dall’uomo? Ce la filiamo a distanza di qualche centinaio di metri! E facciamo bene!

Eh si…viviamo una bella e lunga vita, piena di soddisfazioni e responsabilità, di conoscenze e di confronti.

Questo è quanto siamo diventati in tanti lunghi anni di evoluzione, e ci piace così!

Ecco una sommaria presentazione di chi sono i cavalli: comprensibile a tutti senza usare grandi parole tecniche che in pochi conoscono e che forse celano come obiettivo unico quello di rendere indecifrabile un contenuto e valorizzare oltre il dovuto un certo argomento. Voi umani siete bravi in questo.

Tutto ciò che vi ho appena descritto è quello per cui dovremmo venire al mondo, l’unico modo per noi di vivere appieno una degna esistenza: tutto il resto è solo un accontentarsi di ciò che ci viene offerto, fino a quando il nostro corpo riesce a reggere (e sorreggere) i vostri errori.

E di commettere errori, purtroppo, sembra non accenniate ancora a smettere.

QUELLO CHE VOI PENSATE NOI SIAMO E CI PORTATE AD ESSERE
Si sente parlare spesso, negli ambienti in cui ci troviamo costretti a relazionarci con l’uomo, di “amore verso i cavalli”. Spesso è proprio tale “amore” che spinge voi umani a commettere errori che comprenderete solo più avanti (si spera).
Tra le reti di questo “amore” distorto, tramandato di generazione in generazione, voi ci avete ingabbiati con le più disparate motivazioni, a partire da una questione di mera sopravvivenza (utilizzandoci come bestie da soma e da lavoro) fino ad arrivare alla soddisfazione della vostra esigenza di divertimento e frivolezza (sfruttandoci per la corsa e l’equitazione).
In ogni caso, qualunque vostro approccio va contro i nostri bisogni, anche nelle occasioni in cui vi definite “giusti” e “rispettosi”. Questo perché semplicemente non ricalcano ciò che la Natura ci offrirebbe allo stato selvaggio, che è d’altronde l’unico vero “giusto” possibile per noi.
Tra l’altro, tu che stai leggendo questa lettera dovresti già essere sensibile e infastidito dall’utilizzo improprio di termini come “etico” o “rispettoso”, perciò mi chiedo il perché non estendere questa sensibilità anche quando si tratta dei cavalli!
Ci si riempie la bocca con definizioni come “equitazione etica”, “etologica”, “doma dolce”: quando sentiamo queste parole ci vengono i brividi.
Come è possibile accostare due termini dai significati così opposti?
Sembra incredibile non avvertire chiaramente quanto l’esplicitazione “doma dolce” sia pura contraddizione: come si fa a comandare dolcemente qualcuno?
Per quanto ci riguarda, la vostra doma non è altro che un puro atto di violenza, con il quale ci strappate letteralmente la nostra parte più pura, più libera, più istintiva.
Per capirlo a fondo non dovrebbe bastare altro che pensare alla cattura di un cavallo selvatico che fino ad un momento prima se ne stava libero con il proprio branco a mangiare erba: esso viene rincorso da oggetti volanti “semina terrore” (quelli che voi chiamate elicotteri), che lo spingono verso spazi chiusi, dove sarà più facile farlo prigioniero. E’ solo dopo tale enorme trauma che arriva il peggio. Separato dai propri simili, legato con il muso ad un palo, senza cibo e, nei casi di individui più tenaci, anche senza acqua, la sua parte vitale r-esiste fino a quando la speranza di tornare a vivere liberamente nella sua casa di spazi sterminati là fuori non muore del tutto.
Sì, sto parlando di “morte”: è morte quella che viene indotta, sia a livello psicologico che a livello fisico, quando ci violentate costringendoci ad indossare pezzi di ferro sotto ai piedi, piazzandoci strani e fastidiosi oggetti in bocca e sulla schiena per montarci sopra.
Tutto ciò a quale scopo? Quello di farci correre al posto vostro in stupide competizioni, per guidarci lungo inutili percorsi e per molte altre cose, che sono tutte senza alcun senso per noi e, se ci pensi bene, anche per voi.
Non avete nemmeno il coraggio di ammettere che per arrivare a rendere il cavallo (che naturalmente vivrebbe libero come tutti gli altri) un obbediente automa, uno zombie, non si può altro che utilizzare coercizione e inganni: ecco quanto è ridicola, la vostra doma “dolce”.
Arnesi di ferro spinti a forza in bocca per guidarci attraverso la paura del dolore, strumenti di vario genere per costringerci in certe posizioni, oggetti sulla schiena più o meno grandi per starci sopra, fino appunto ai pezzi di ferro messi sotto ai nostri splendidi e funzionali piedi ridotti in cattività a nulla più che un’unghia rotta.

Siamo fatti per lanciarci in spazi sterminati, e ci riducete in miseri recinti, o peggio ancora in minuscoli vani che voi chiamate box mentre noi li viviamo come prigioni.
Siamo fatti per vivere in branco, e ci costringete soli in spazi isolati, polverosi e angusti.
Siamo fatti per mangiare erba tutto il giorno, e ci somministrate secchiate di cereali, allo scopo di aumentare la nostra massa muscolare e con chissà quale altra aspettativa.
Siamo spiriti liberi e fieri in natura, ma voi vi convincete di diventare contemporaneamente i nostri padroni e i nostri protettori. “Protettore” è un termine che utilizzate anche in altri ambiti e ciò chiarisce bene il livello di sfruttamento a cui ci sottoponete.

Con premurosa ipocrisia, d’inverno ci vestite di calde coperte, senza minimamente informarvi su quanto sia importante per noi usufruire della nostra pelliccia, che in condizioni naturali è perfettamente funzionale anche all’escursione termica tra il giorno e la notte durante i mesi più freddi: siamo infatti dotati di muscoli piliferi che sanno orientare ogni singolo pelo in base alle varie esigenze.
Ci mettete subito al riparo nelle giornate di pioggia, senza interrogarvi se essa, così fastidiosa per voi, lo sia anche per noi.
Tendete ad umanizzare ogni nostra esigenza, arrivando a causarci enormi problemi fisici, come lo straziante dolore ai piedi che voi definite “laminite”, causato da un’alimentazione esageratamente zuccherina e dallo stress al quale ci sottoponete. La cosa ancora più incredibile è che, in quei casi, molti veterinari intervengono somministrandoci un antidolorifico in pasta, che contiene…indovinate un po’…zucchero! Ma ci siete o ci fate?
Lo stress sfocia anche in altre manifestazioni, da voi fraintese benché le abbiate davanti ai vostri occhi quotidianamente, come ad esempio i tic nervosi.
Pensate che ce li trasmettiamo a vicenda anziché capire che due cavalli chiusi in due box separati ed uno di fronte all’altro saranno sempre frustrati e continueranno a minacciarsi a vicenda, dal momento che stanno vivendo in un contesto del tutto innaturale per le loro esigenze. Cercando di arginare le situazioni peggiori e più compromettenti non siete capaci di far altro che metterci strettissimi collari di ferro e/o cospargere alcune parti dei box con sostanze irritanti, senza pensare invece a comprendere le nostre sofferenze e a rimuovere il reale problema: la prigionia a cui ci costringete.
Non voglio dilungarmi sugli altri dettagli dei quali entrambi siamo perfettamente al corrente, dai trasporti alle competizioni, ai medicinali dei quali ci imbottite fino al liberatorio gran finale.

Che sia a causa di un incidente o dell’età avanzata, il nostro destino sarà comunque sempre lo stesso.
Come un oggetto divenuto improvvisamente inservibile, ci spedite nel più terribile luogo al mondo, dove sistematicamente, uno dopo l’altro, crolliamo sotto il colpo senza pietà di un gelido ed insanguinato pezzo di ferro che ci spacca la testa: questo è il nostro ultimo sacrificio per voi, che potrete cibarvi delle nostre carni, fatte accuratamente a pezzi.
Ma come vi è venuto in mente di creare luoghi simili?
Non abbiamo proprio parole.

Un’ultima cosa.
Alcuni fra voi sono ancora convinti che quanto descritto sopra non sia da considerarsi valido se un cavallo nasce felice in un contesto domestico, abituandosi all’umano sin da piccolo, senza temerlo e averne paura.
Certo, è vero che entrando in contatto con voi già dai primi mesi di vita non arriviamo quasi mai (e sottolineo “quasi”, visto che alcuni cavalli vanno diffidando di voi anche in condizioni domestiche) alle reazioni che abbiamo in ambiente selvatico, ma in verità ogni situazione merita una valutazione a sé, e se si scava a fondo si scopre che anche in questi apparentemente innocenti casi una grande dose di violenza viene sempre e comunque esercitata.
Dal momento che se si parla di domesticità si parla di allevamento (già solo questo termine dovrebbe mettervi in allarme), la mia riflessione vuole condurvi metaforicamente ad immaginare prima di tutto la parte dello stupro che la fattrice è costretta a subire a causa vostra.
So che cosa stai pensando. In cuor tuo credi che la parola “stupro” sia troppo forte, esagerata.
Sei mai stato in un allevamento?
I miei occhi hanno visto femmine fatte montare, legate con catene alle gambe posteriori per evitare che scalcino il maschio che le copre senza il loro consenso.
Questa è violenza.
Lo so, lo so, l’uomo prova a pensare a tutto ma, nonostante “l’evolutissimo” metodo dell’inseminazione artificiale, la violenza permane, anche se meno brutale e più subdola perché tanto non c’è comunque alcun consenso da parte della femmina.
Dopo il parto comincia la fase che voi definite ”imprinting”.
Mi domando cosa pensi accada nella maggior parte degli allevamenti. Coccole ogni giorno?
Mediamente i cavalli vengono tenuti in recinti, senza che si perda troppo tempo (d’altronde il tempo è denaro, dite voi): nei piccoli si risveglia in tal modo quel poco di selvatico insito in loro.
Ma anche nei rari casi in cui il contatto con voi umani è più ravvicinato e si promette maggiormente sereno gli scontri non sono altro che posticipati al momento in cui verranno pretese dal soggetto in questione azioni che esso mai avrebbe voluto compiere.
Eccoci giunti quindi all’inizio della doma e dell’addestramento più specifico.
Se sei convinto che i cavalli si divertano a svolgere certe attività, che siano passeggiate o salti tra ostacoli artificiali, ti pongo una domanda: perché, per costringerci a farlo, dovete usare tutti quegli strumenti finalizzati a terrorizzarci e piegarci attraverso la minaccia del dolore?
Come mai siete costretti a premerci un pezzo di ferro sulle gengive, tra gli incisivi e i molari (si chiamano “barre”, nel vostro gergo), per trattenerci e guidarci?
Probabilmente perché vi state imponendo con la forza e lo avete fatto fino a spingervi ai casi più estremi: mi riferisco, per esempio, a quella che voi definite monta americana, quando utilizzate dei ferri talmente fini e rafforzati con delle leve che arrivano addirittura a spezzarci in due la lingua.
Sì, ora a difesa della tua coscienza vacillante ribatterai che esistono (rari) casi in cui vengono utilizzati strumenti e metodi meno coercitivi, come le briglie senza imboccatura, ma la questione è che ciò non cambia assolutamente la posizione dominante attraverso la quale vi rapportate con noi e che vi prendete il diritto di avere nei nostri riguardi.
Sapete chi è colui che cede e ubbidisce con queste modalità? Quello che è già più morto di altri.
Chi è stato costretto ad abbandonare la sua natura buona e selvaggia, marcita tra gli angoli polverosi di un box, fuggita dal corpo e dallo spirito di un individuo violentato e torturato psicologicamente.
E nei rari casi in cui uno di noi trovi la forza di fronteggiare ogni vostra prevaricazione, voi risolvete il conflitto anticipandone il viaggio verso la morte, di solito riservato a coloro che non sono più utili a servirvi. In questo modo togliete di mezzo e soffocate anche quel lieve spiraglio di resistenza animale che tanto destabilizzerebbe la vostra convinzione di riuscire a dominarci.
Questo è quello che voi considerate un buon lavoro.

Tu adesso sei libero di dire: “Ma io non faccio tutte queste cose!”
Ti chiedo però di riflettere e di pensare a quanto ho provato a comunicarti.
Non chiuderti nelle tue verità e prova a sentire quanto della tua parte emotiva è stato smosso da questa analisi.


Continua a leggere la lettera sul sito degli amici di Ippoasi.

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