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°°Aumento delle Vendite di Alimenti Vegan e Calo della Carne: Colpa del “Meat Sounding”?°°

Sette anni fa, nel 2010, la presenza di un reparto vegano nei supermercati sarebbe apparso come un miraggio. Oggi, nel 2017, possiamo invece dire che quel miraggio era una visione reale di un futuro che doveva solo arrivare. E che è arrivato.

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In meno di un decennio il mondo del mercato ha visto un enorme stravolgimento dato da un cambio netto della domanda.
Abbiamo visto crollare il consumo di latte animale, sostituito dalle bevande vegetali (soia, riso,avena ecc). Abbiamo visto la vendita degli agnelli calare a picco nel periodo pasquale, in cui la domanda era da sempre più alta rispetto agli altri mesi dell’anno.
Questo perché si è raggiunto un livello di sensibilità maggiore, anche nelle tradizioni.
Abbiamo anche visto calare drasticamente l’acquisto di carne: gli italiani sarebbero quelli che ne consumano meno in tutta Europa.

Al contempo, abbiamo assistito in meno di 5 anni all’aumento della vendita di frutta e verdura, di cibi biologici e di prodotti preconfezionati 100% vegetali e dunque vegan.

<< Un aumento a due zeri >> a detta del direttore del punto vendita Pam di San Miniato Basso (PI) con cui ho avuto modo di parlare proprio di questa tematica.
<< Un’interesse così verso gli alimenti vegetali non si era mai visto. I clienti preferiscono gli alimenti biologici, meglio ancora se a chilometro zero. C’è molta attenzione alle etichette: non è più come una volta. Adesso i consumatori vogliono sapere cosa mettono nel carrello >>.

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foto di archivio: il primo reparto Vegan e Vegetariano alla Coop

Se per la salute delle persone e per gli agricoltori questo è un traguardo, non lo è assolutamente per le tasche degli allevatori e di chi lavora nel settore dello smontaggio animale, che intravedono all’orizzonte momenti ancora più bui.

In un primo momento, quando i consumi dei prodotti vegani erano ai loro esordi, nessuno li avrebbe mai visti come “rivali” di qeulli carnei in ambito delle vendite.
Oggi, con milioni di persone che li preferiscono ai cibi industriali “classici”, qualcuno inizia ad esternare il proprio disagio.

E’ stata recentemente avviata su un sito di petizioni online una campagna di raccolta firme per fermare il “Meat Sounding” (alla lettera: “che suona come la carne”), ossia il fenomeno che vede l’utilizzo dei termini da sempre legati ai prodotti di origine animale per descrivere le alternative vegetali: cotolette, polpette, (ham)burgers, affettati ecc.
Tale petizione è stata voluta da chi promuove il consumo di animali e la visione di animale=essere di cui disporre a proprio piacimento poiché trarrebbero in inganno i consumatori. In poche parole, leggendo “cotolette vegetali”, i consumatori potrebbero confondersi con qualsiasi altro tipo di cotoletta.
Il calo dei consumi di carne dunque, e il collegato aumento di cibi vegani, a detta di qualcuno potrebbe esser frutto di continui errori da parte dei consumatori proprio per i nomi simili dei prodotti.

Ma è davvero così?
Alcune considerazioni prima di arrivare al dunque.

Per quanto riguarda il “Meat Sounding”, come già espresso in un articolo scritto qualche tempo fa è giusto ricordare che molti termini sono strettamente collegati alla natura visiva degli alimenti: formaggio (dalla forma in cui è versato il latte/bevanda vegetale), affettato (dal semplice fatto che è a fette) ecc. Inutile gridare allo scandalo.

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Meat nell’antico inglese significava ogni tipo di cibo, e non “carne” come oggi. 

Per quanto riguarda invece la realizzazione di alimenti simili a quelli “carnei”, diventati ormai una minaccia per chi fa fatica a lucrare sulle carcasse delle altre specie, è doveroso tenere presente che essi non nascono col solo scopo di emulazione.
Si prenda in esempio l’azienda Valsoia, da oltre 20 anni sul mercato: il fine ultimo era dal principio ed è tutt’ora il garantire al consumatore un alimento gustoso privo di colesterolo. Uno fine salutistico, dunque.
Un altro motivo è quello della praticità: le nostre abitudini alimentari sono strettamente collegate alle nostre attività giornaliere: fra impegni, lavoro, scuola e famiglia i pasti fuori casa non mancano. Ecco perché un panino farcito di affettati vegetali o un hot dog vegano possono essere alcune delle opzioni che ha per il pasto chi ha deciso di diventare vegan.

E ricollegandoci proprio alle persone vegane, spesso si possono leggere critiche assurde mosse da chi ancora è lontano dal rispetto per gli animali, del tipo:
ai vegani manca mangiare la carne, ecco perché comprano dei prodotti sosia“.
Le persone vegan che hanno nostalgia degli alimenti realizzati con parti animali sono veramente una minoranza, e se esistono è dato tutto dal sapore di determinati alimenti.
Solitamente questo accade con maggior frequenza a chi ancora consuma derivati animali e che quindi non si è ancora distaccato completamente dagli animali nelle abitudini alimentari, ma ripeto, tutto è dato dai sapori dato dagli ingredienti e dagli additivi.
Vogliamo ricordare quanti ingredienti extra ha una cotoletta di pollo, oltre alla parte corporea dell’animale quasi sempre frollata?
Ma si, dai, ricordiamolo: uovo, farina, sale, olio d’oliva, pan grattato. 5 elementi extra in grado di modificare, coprire e talvolta di migliorare, il sapore.
I vegani dunque non cercano di sopperire alla “mancanza” di qualcosa. Sono, piuttosto, i non vegani a dover trovare il modo di farsi piacere ciò che definiscono “cibo” che allo stato naturale non mangerebbero mai. Avete mai visto un consumatore mangiarsi la zampa di una gallina appena staccata?

Arriviamo al dunque: è davvero la forma dei prodotti vegan e i loro nomi “presi il prestito” la causa principale dell’aumento delle vendite di alimenti vegani? E’ dunque anche la causa del calo di vendite di prodotti animali? Davvero i prodotti vegan ingannerebbero i consumatori al punto di farsi scegliere inconsapevolmente per finire nel carrello?

Non troviamo scuse ridicole, per favore.

Siamo tutti consapevoli che, in caso di acquisti sbagliati, i prodotti si possono cambiare entro 7 giorni riportandoli in negozio muniti di scontrino. Se i prodotti sono freschi (banco frigo) non si possono cambiare. Si possono assaggiare, in compenso, e se si scopre al gusto che non sono ciò che pensavamo fossero la scoperta ci porta sicuramente ad evitarli la volta seguente.

Chi crede che gli alimenti vegan ingannino i consumatori intenti a fare spesa dovrebbe ricordare che le persone sono in grado di leggere le etichette, e che sulle confezioni non mancano certo le specificazioni della natura dei cibi stessi.
Davvero si ritengono i consumatori così stupidi da fare spesa senza badare a cosa mettono nel carrello?
Magari accadeva prima (per la gloria delle tasche di qualcuno), quando i clienti avevano fiducia delle aziende. Il macellaio di fiducia, il pescivendolo di fiducia, il negoziante di fiducia.. Prima andava bene, vero?
Oggi sappiamo che possiamo fidarci solo delle etichette e di cosa leggiamo.

Esattamente come a me, e a tante persone vegan come me, di non acquistare mai per sbaglio dei wurstel di pollo, sono sicura che non capiti quasi mai a nessun onnivoro convinto di comprare wurstel di farro per errore.
E anche se quest’ultima ipotesi capitasse, sarebbero errori dai numeri talmente bassi da non giustificare la crescita esponenziale di vendita dei prodotti vegan.

Pertanto, che si sbattano i piedi a terra o no, la verità è questa: le persone stanno prendendo consapevolezza di cosa, e soprattutto di CHI, mangiavano. C’è un risveglio della coscienza. L’empatia è contagiosa e, citando il caro Victor Hugo, niente potrà mai ostacolare un cambiamento la cui ora è giunta. Nemmeno una petizione.

 

 

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