°° Se Vegetale non è “LATTE”? Albjus -Coniato un Neologismo Esclusivamente Vegan °°
Latte di soia? Panna vegetale? Formaggio di riso?
Bye bye termini presi in prestito!
Secondo la Corte di Giustizia Ue non si potrebbero più utilizzare i suddetti termini legati ai prodotti di origine animale per indicare le alternative realizzate con ingredienti vegetali.
Nonostante tante parole siano nate ricollegandosi al gesto che sta dietro la preparazione dell’alimento, come nei casi di
– “insaccato” (posto in una ‘sacca’, che poi son budella)
– “affettato” (fatto a fette)
– “formaggio” (da ‘forma’, recipiente in cui è collocato)
all’industria che sfrutta gli animali questo prestito proprio non va giù.
Il motivo? Creerebbero confusione tra i consumatori, soprattutto quelli non vegani, che leggendo “latte” sbaglierebbero a comprare ritrovandosi a consumare alimenti dai nutrienti ben diversi. Un’ipotesi che potrebbe risultare tranquillamente un’offesa per i clienti, dal momento che verrebbe messa in dubbio la loro capacità di leggere le etichette e, di conseguenza, di scegliere il prodotto che più preferiscono.
Se da una parte troviamo chi sostiene lo sfruttamento degli animali per introito economico intento a dire che è la salute dei clienti che intendono salvaguardare, dall’altro non possiamo fare altro che notare che questo provvedimento possa essere un futile tentativo di ostacolare la crescita del mercato vegan.
Le alternative vegetali infatti stanno minando l’economia basata sugli allevamenti intensivi. Secondo i dati Nielsen sulla grande distribuzione, il settore delle bevande vegetali alternative al latte (che da due anni fanno anche parte del paniere Istat) ha registrato nel 2016 un incremento del 7,4%, per un valore complessivo di circa 198 milioni di euro [fonte: Corriere.it ]. Percentuali davvero alte, se si pensa comunque che le bevande vegetali abbiano lo svantaggio di avere un’iva applicata del 22%, nettamente superiore a quella del 4% prevista per il latte di origine animale.

Esselunga: il reparto bevande vegetali grande quanto quello di latte animale
A differenza di quanto sostenuto da Assocarni e da chi continua a vedere negli animali degli esseri da sfruttare fino alla morte, imposta, sono fermamente convinta che questo boom di vendite sia dato da scelte consapevoli e non da errori fatti al supermercato.
I nostri carrelli si riempiono sempre di più di alimenti realizzati con materie prime vegetali, spesso di origine biologica, sia per motivi salutistici sia per etica e rispetto per le altre specie.
In natura ciascun mammifero ha il suo latte.
L’uomo è l’unico essere vivente che impone agli altri animali di concepire figli (previa ingravidamento manuale/violenza fisica) per poi sfruttare la maternità altrui per derubare le femmine del latte che spetta ai cuccioli.
Un oltraggio che continua ogni giorno, ma che al contempo è oggetto di rifiuto da un numero sempre più grande di persone sensibili.
Personalmente non bevo latte né mangio formaggi da anni e questa scelta mi ha portato solo benefici dal punto di vista salutistico e da quello etico-morale: sapere di non portare alla bocca secrezione mammaria (che sia liquida o cagliata) di femmine schiavizzate e ridotte a macchine da produzione ha sicuramente innalzato il mio modus vivendi.
Tentare di ostacolare la vendita dei prodotti alternativi a quelli realizzati con violenza dimostra quanto si sentano minacciati coloro che lucrano sull’organismo altrui.
Non sarà la fine dell’utilizzo del termine “latte” a frenare la vendita di bevande vegetali.
Non saranno gli schiavisti a vincere questa lotta per la liberazione degli oppressi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso, fra le tante parole, che il sostantivo LATTE (di derivazione latina lāc/lactis) sia da utilizzare solo ed esclusivamente per quello di origine animale?
Perfetto.
Ci adegueremo. Porteremo innovazione non solo negli alimenti, ma anche nel linguaggio.
Da qualche ora di riflessione e di valutazione di più lingue in disuso ed utilizzate ho coniato un neologismo che credo possa essere adatto per indicare qualsiasi bevanda vegetale di colore bianco.
ALBJUS
Dalla fusione dei termini latini
ALBUS (chiaro) e IUS (brodo/succo) posto al francese (JUS).
Un neologismo semplice, dalla base linguistica comprensibile sia in Europa che all’estero, in grado di indicare un succo vegetale di colore chiaro, tendente al bianco.
Un sostantivo unico, non presente in nessun idioma.
Albjus di riso, albjus di soia, albjus d’avena..
Come tutti i neologismi inizialmente suonano strani, ma con il suo utilizzo può diventare una valida alternativa a termini che vale la pena lasciare associati ad alimenti tipici di una dieta retrograda e invadente.
Le nuove parole, per entrare nel vocabolario ed essere prese in considerazione dall’Accademia della Crusca, devono essere utilizzate da un numero ampio di parlanti.
Pertanto, se appoggiate l’idea di dare vita a nuovi termini per indicare prodotti che non hanno comportato la morte di nessuno, iniziate anche voi già da domani mattina ad utilizzarlo, magari facendo colazione o merenda con un bicchiere di albjus alla nocciola.
Utilizzate l’hashtag #Albjus sui vostri canali social e rendete la parola conosciuta ai vostri amici e contatti.
Nel frattempo, il mio blog è a disposizione di tutti coloro che vorranno inviare un proprio neologismo da rendere pubblico per le alternative vegetali allo yogurt, al burro e alla panna.
– Carmen
Pubblicato il 15 giugno 2017, in ° attivismo ° con tag albjus, albjus neologismo, albus, assocarni, bevande vegetali, cow milk, divieto utilizzo termine latte, ius, jus, lait, latte d'avena, latte di riso, latte di soia, latte vegetale latte animale ue, leche, milk, think green live vegan love animals, ue, vacche da latte, vache a lait, vegan milk, veganism. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
Lascia un commento
Comments 0