°°I Vegani in Tempo di Guerra non avrebbero “fatto storie” per la Carne?°°

Vorrei vederli in tempo di guerra. Altro che. Si sarebbero mangiati di tutto senza fare storie”.

Sono solo figli viziati che non sanno cosa vuol dire fare la fame“.

Se fossero nati ai tempi dei miei nonni col cavolo avrebbero rifiutato la carne“.

Questi sono alcuni, fra i più “civili”, commenti di critica che leggo spesso sulle persone vegane come me. Commenti lasciati sui social network, un po’ ovunque, per denigrare la scelta di chi per volontà e raziocinio ha deciso di non alimentarsi più di corpi animali e di materie derivate da essi. Commenti scritti col fine di sminuire un intento tanto nobile (perché lo è) cercando di farlo passare per atteggiamento da “viziati” di “persone agiate”.

Con questo articolo voglio smontate questa tesi. E quale risposta migliore se non quella dell’esperienza vera e diretta dei miei nonni e parenti?

Ai tempi di guerra, così tanto menzionati da chi non li ha vissuti e suppone che in quel clima si accettasse di tutto, i miei bisnonni non si sono potuti permettere la carne per tantissimo tempo. Il “benessere alimentare” è arrivato dopo decenni. [Domandiamocelo: è forse benessere poter mettere nel carrello tutto quello che vogliamo, confezionato in plastica e preparato settimane, mesi, anni prima?]

La carne era uno status sociale, proprio questo “alimento” era per persone ricche, e le macellerie non avevano di certo la fila di contadini davanti alla porta. 

“La carne fa bene, senza carne il tuo organismo è debole e rischi di ammalarti” esordì un pomeriggio mia nonna prendendo in esempio me, che dall’età di 12 anni iniziai a rifiutarla smettendo definitivamente di mangiarla.

“Ma non è vero. Perché, noi quanta carne mangiavamo?” rispose mia zia, sua sorella maggiore, per ammonirla lasciandomi stupita per il suo intervento.

“Non ne mangiavamo quasi mai. Se è vero a Natale. C’erano i cibi dell’orto, i cereali, i legumi.. soprattutto i fagioli. Il pane fatto in casa, la pasta fatta in casa. Qualche uovo di quelle pochissime galline che avevamo, ma eravamo in tanti figli e quanto ne toccava a tutti?” iniziò a raccontare mentre mia nonna le dava ragione.

“Mi ricordo ancora quando un Natale non avevamo proprio niente, se non un pulcino. Un pulcino solo da dividere in quasi 10 persone. Papà arrivò in cucina con questo pulcino per cucinarlo” disse.

Mi immaginai la scena immedesimandomi nel piccolino, smarrito e senza mamma, in mezzo a giganteschi umani. Tenuto stretto con le ali bloccate al corpo, fra due mani. Impaurito e senza (o forse con) un’idea precisa di cosa gli sarebbe successo.

“E lo avete ucciso lo stesso, zia?” chiesi nella speranza che lo spirito natalizio avesse scaldato una sorta di pietà congelata.

“Sì, era Natale e avevano solo quello. A Natale almeno un po’ di carne si portava in tavola, sennò che Natale era” spiegò.

“E come lo avete diviso in tanti?” chiesi visualizzando in mente un esserino solo preteso da così numerosi individui.

“Cucinammo pasta in brodo, con il pulcino” concluse.

In tempo di guerra, nella mia famiglia, la possibilità di mangiare carne non c’era. Non c’era nemmeno per la mia cara bisnonna, classe 1913, vissuta fino all’età di 102 anni nonostante (o per meglio dire grazie?) la sua dieta povera di proteine animali. E sono sicura che tale possibilità non vi fosse nemmeno in tante altre famiglie, magari le stesse di chi oggi esordisce che il veganismo è una moda.

Le mode sono passeggere e vengono lanciate dai piani alti della società per influenzare le masse, per darci un percorso da seguire come biglie su un viottolo. Il veganismo semmai è un MODO di vivere che nulla ha a che vedere con l’omologazione, essendo di per sé la ribellione stessa all’omologazione onnivora.

Sarebbe stato bello parlare con antenati vegani, ma non ci è possibile. 

Se non abbiamo fonti inerenti a persone sensibili vissute nel periodo di guerra, è anche grazie alla scarsa alfabetizzazione. Anche se il pensiero di pochi fosse stato divergente, l’impossibilità di lasciarlo per scritto ha fatto morire gli ideali insieme alla persona che li aveva. La scrittura rende le persone immortali, come credevano gli antichi egiziani, e cosa più vera di questa non c’è. 

Non abbiamo tante fonti note di veganismo “dal basso”, soprattutto nel post guerra, ma abbiamo tantissimi documenti di altri periodi storici che provano che la pietà per le altre creature e il benessere che regala l’assenza di carni nella dieta non siano frutto della generazione del XXI secolo. 

Le persone vegetariane, e sicuramente quelle vegane, sono sempre esistite. E alcune di loro con capacità di farlo ci hanno lasciato degli scritti a riguardo. Mi riferisco al “Del Mangiar Carne”, per esempio. 

Addirittura anche nel Giovin Signore di Parini è presente la figura del vegetariano. Ovvio, messa in chiave ironica (colui che piange a tavola per gli animali che gli altri commensali mangiano) ma pur sempre presente e prova storico-culturale che persone alienate dalla crudeltà ci fossero eccome, per arrivare a scriverne una caricatura.

 Che dire poi di una data importante? 

1944. Mentre i (pre)potenti al mondo giocavano a farsi guerra con le vite delle persone, qualcuno in Inghilterra fondava la Vegan Society distaccandosi dalla Vegetarian Society già esistente da decenni. Mi riferisco a Donald Watson, venuto a mancare nel 2015, ideatore del mid-clipping “vegan”, diventato ormai etichetta del novimento di liberazione animale e di libertà alimentare umana.

Se fossi nata nel periodo di guerra, sicuramente non avrei avuto i negozi per fare spesa ma un orto da coltivare, però non avrei mangiato lo stesso gli animali. Non importa il contesto storico, ma il grado di ampiezza dei nostri orizzonti e la capacità di vedere oltre. In molti, stolti, dovrebbero arrendersi all’idea che un ideale forte va oltre la sensazione fisica del provare fame.

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Informazioni su Carmen Luciano

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Pubblicato il 23 dicembre 2017, in ° altro.. ° con tag , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 5 commenti.

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