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[Cultura] Gli Ultimi Giorni di P. B. Shelley Raccontati da E. J. Trelawny

Care lettrici e cari lettori,

torno a parlarvi del poeta Shelley, protagonista del mio libro “Percy Bysshe Shelley Pensatore Antispecista” pubblicato da Carmignani Editrice.
In questo articolo voglio illustrarvi i punti salienti della pubblicazione datata 1858 intitolata Recollection of the Last Days of Shelley and Byron di Edward John Trelawny, carissimo amico di Percy.

Chi ha letto il mio saggio ha avuto modo di approfondire la forte amicizia nata fra Trelawny e Shelley durante la loro permanenza in Italia. Un legame che è andato fin oltre la morte: l’avventuriero inglese, che tanto si affezionò al nostro sensibile difensore degli animali e della dieta vegetale, per non essere mai più separato dall’autore di Queen Mab decise di farsi seppellire accanto a lui nel Cimitero Acattolico di Roma, luogo suggestivo e al contempo incantevole che Shelley riteneva il più bello fra i cimiteri mai visitati.


“These are two friends whose lives were undivided:
So let their memory be, now they have glided
Under the grave: let not their bones be parted,
For their two hearts in life were single-hearted”


Queste sono le commoventi parole incise sul marmo bianco sulla tomba di Trelawny, i cui resti riposano accanto a quella di Shelley nel suddetto cimitero, luogo che conserva la memoria anche del piccolo William, figlio avuto con Mary Wollstonecraft Godwin e deceduto prematuramente all’età di tre anni.

Particolare del Cimitero Acattolico di Roma – Foto: Carmen Luciano


Trelawny, decenni dopo la morte del poeta (avvenuta l’8 luglio 1822 a largo del porto di Livorno), ha deciso di pubblicare le sue memorie sul caro amico e su George Gordon Byron. “Recollection of the Last Days of Shelley and Byron” è un testo che ho trovato prezioso tanto quanto la biografia di Thomas Jefferson Hogg, altro amico dei due poeti, che avrebbe dovuto vantare di quattro volumi anziché dei due effettivi venuti alla luce della stampa.

Come ho riportato nell’incipit del mio libro, di Shelley si è tanto detto e disquisito, non sempre positivamente: Trelawny è uno di quegli autori che ha saputo apprezzare l’amico poeta sia in vita che dopo la morte, permettendoci di far nostri ricordi personali che ci portano a conoscenza dell’animo profondo del suo compianto amico.

Nel suo testo, consultabile in lingua originale cliccando QUI, Trelawny dipinge Shelley come un amico onesto e fedele che avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone a cui voleva bene. Forse, il non avere così tante persone attorno, era per lui una grande fortuna: chiunque avrebbe potuto sfruttare la sua bontà e la sua capacità di sacrificarsi per gli altri. “Shelley loved everything better than himself”, viene riportato a pagina 61: non è un caso se l’empatia del poeta lo portò a non mangiare gli animali.

Se Shelley viene raccontato con affetto e stima, nell’opera non mancano invece critiche verso l’egocentrico Lord Byron, personalità completamente opposta all’autore di Ode to the West Wind. Dopo essermi questionata a lungo sul perché Byron – avvezzo al dare soprannomi alle persone – definisse Shelleysnake” (serpente), Trelawny svela l’arcano: tutto sarebbe collegato alla lettura portata avanti da Shelley del testo Mefistofele di Goethe, più specificatamente del passaggio riguardante Eva e il Serpente. Per Byron, Shelley era persuasivo con le sue idee come il serpente dell’Eden, oltre ad avere un andamento silenzioso ed esser caratterizzato dall’avere una figura longilinea e occhi chiari. Sebbene l’autore del Don Juan avesse addossato questo soprannome a Shelley in senso dispregiativo per i connotati negativi attribuiti cattolicamente e da sempre al suddetto animale, per Trelawny il confusionario portatore di discordia era proprio Byron. Per questo preferiva di gran lunga passare i pomeriggi a Pisa in compagnia di Percy e Mary.

Le pagine 62 e 63 mostrano il forte amore di Shelley per l’acqua in quanto elemento naturale, nonché per il mare. Il poeta si chiedeva come mai non riuscisse a nuotare sebbene sembrasse un da farsi così semplice. Più di una volta infatti aveva rischiato di annegare, rifiutandosi di mettere in pericolo la vita altrui per farsi salvare. “In another minute, I might have been in another planet”: Trelawny riporta le parole espresse dall’amico poco dopo esser stato salvato per miracolo, parole che mostrano una certa sensibilità del poeta riguardo alle altre dimensioni e anche una certa consapevolezza dinnanzi alla morte. Come ho argomentato anche nel mio libro, è probabile che Shelley portasse dentro di sé una sofferenza enorme data anche dal ritrovamento del corpo della prima fidanzata Harriet Westbrook (sposata per non renderla disonorata agli occhi della società del tempo) annegata nel lago Serpentine in Inghilterra. Una tragedia a cui sia durante la sua breve vita, sia ancora oggi, viene attribuita da taluni la completa responsabilità a Shelley, ‘reo’ di aver messo fine alla relazione con la ragazza per divergenze caratteriali e di ideali, in un periodo storico in cui il divorzio non era ammesso.
Shelley non si preoccupava della sua vita. I suoi amici si preoccupavano che potesse perderla in qualsiasi momento‘, spiega Trelawny a pagina 74 della sua opera. Sebbene critici e saggisti abbiano visto in tutto ciò una mal celata ricerca della morte, è probabile che Shelley avesse dentro di sé una tale sofferenza da non disdegnarne la sua completa fine.

‘Quando veniva attaccato reagiva sempre con calma, con la finalità di elevare la sua specie’. Credeva nel riformare l’umanità, diffondendo messaggi di consapevolezza, e affrontava le critiche con un animo pacato, anche quando la stampa lo dipingeva come un mostro per le sue idee anticonformiste e liberali (uguaglianza di genere, disconoscimento del potere, difesa della dieta vegetale e libertà religiosa dalle catene del cattolicesimo, per citarne alcune) mentre chi lo conosceva lo vedeva per ciò che era: “un bravo ragazzo, gentile e amorevole”. Completamente opposto invece era Byron, descritto come “cruelly unjust to others” (p. 70). Trelawny dimostra, in queste parole sapientemente usate, grande capacità di analisi della personalità altrui. Solo una persona crudelmente ingiusta avrebbe potuto infierire sulla prematura morte di William e Clara, figlio e figlia di Percy e Mary morti per problemi di salute a rispettivamente tre e un anno di vita. Byron, assieme ad altri, lo fece.

Recollection of the Last Days of Shelley and Byron” è un testo prezioso anche per la descrizione degli ultimi giorni di vita, nonché dell’ultimo in assoluto, di Shelley. Trelawny racconta nel dettaglio quel tragico lunedì 8 luglio 1822, quando al mattino il poeta, assieme al capitano Edward Williams e al giovane marinaio Charles Vivian lasciarono il porto di Livorno per dirigersi verso il Golfo de La Spezia e arrivare a Villa Magni a San Terenzo dove li aspettavano Mary e Jane. Venti minuti, solo venti minuti durò la tempesta che distrusse la goletta Ariel e strappò la vita a tutti e tre, ritrovati ormai cadaveri una decina di giorni dopo il naufragio su tre punti diversi della costa fra Toscana e Liguria.
È molto probabile che Guido Biagi, bibliotecario e storico che nel 1922 pubblicò “Gli Ultimi Giorni di Percy Bysshe Shelley, con nuovi documenti” abbia letto con grande attenzione il testo di Trelawny, tralasciando però dettagli spiacevoli sul ricordo del ritrovamento dei corpi e sulla cremazione di questi, avvenuta nel mese di agosto del 1822.

Recollection of the Last Days of Shelley and Byron” è un’opera assolutamente da leggere se ci si vuole sentire ancora di più vicini alla vita del poeta. Sul tema dell’alimentazione vegetale non offre informazioni a differenza della biografia di Thomas Jefferson Hogg, forse per suo disinteresse nei confronti di tale argomento. In compenso, il quadro descrittivo di Shelley e della sua over-sensitiveness è decisamente ricco di dettagli.

Per chi non fosse pratica/o della lingua inglese, vi è adesso la possibilità di leggere il testo in lingua italiana grazie alla primissima traduzione nella nostra lingua pubblicata da Quodlibet: “Gli ultimi giorni di Shelley e Byron”, che verrà presentata il 6 febbraio presso la Keats-Shelley House a Roma.




Carmen Luciano
Dott.ssa in Lingue, Letterature e Filologie Euroamericane


Fonte: Recollections of the last days of Shelley and Byron, Trelawny, Edward John, 1792-1881; Ticknor and Fields. pbl., 1858.

Cari ristoratori: BASTA verdure grigliate e poco cibo se si chiede un menu vegan!

Care lettrici e cari lettori,

questo articolo è dedicato a una problematica che spesso si manifesta nell’ambito della ristorazione alla clientela composta da persone che hanno scelto di non mangiare animali e derivati corporei: la disuguaglianza nell’offerta proposta da ristoratori e ristoratrici.
Una mia recente disavventura, condivisa pubblicamente, ha portato alla luce un disagio ampiamente diffuso in tutta Italia, dove persone paganti si sono ritrovate a mangiare male, meno e poco rispetto ad altri commensali in locali dalla cucina ‘tradizionale’ solo perché avevano chiesto un menu interamente vegetale.

Prima di arrivare al fulcro di questo articolo, è necessario – se non avete già letto sulla mia pagina Facebook – che vi racconti cosa ho vissuto nel mese di dicembre 2024.

Per un incontro di lavoro sarei dovuta andare a pranzo (con menu fisso) in un noto ristorante situato a Terricciola (PI): “da Carlo“. Consapevole del fatto che non tutte le realtà di ristorazione sono aperte alla cucina vegan, ho preferito chiamare per sincerarmi che avessero delle portate 100% vegetali e avere un menu a parte. Telefono e mi risponde una signora. Le chiedo se hanno dei piatti interamente vegetali nel menu. La signora mi risponde secca di no. “Davvero? Proprio niente di interamente vegetale?” chiedo incredula. Nel frattempo nella mia mente prendevano forma immagini di patate arrosto, pizza, bruschette, ribollita, e tutti i piatti che la cucina toscana offre e che non contengono derivati animali. La risposta, ancora una volta, è stata no. La ringrazio e le dico che allora non potrò prendere parte al pranzo aziendale poiché per me non c’è niente da mangiare. La signora, probabilmente sentendo il nome dell’azienda, ci ripensa e mi dice che volendo può “darmi qualcosa da mangiare”: potrebbe prepararmi al massimo della pasta con i funghi o delle verdure grigliate, oppure un’insalatona, ma che per secondo e per dolce non avrebbe “nulla da darmi”. Le opzioni non sono così allettanti: di solito le insalatone le consumo d’estate, di rado, non certo d’inverno, stagione in cui penso chiunque preferisca dei piatti caldi. Le rispondo che la ringrazio, ma che di solito si va al ristorante per mangiare cose diverse da quelle che si preparano in casa. Si conclude così la telefonata.
Percepito un certo distacco nei confronti di altre tipologie di offerta alimentare, decido di contattare subito anche l’altro locale dove era stata organizzata la cena aziendale: l’Agriturismo Castelvecchio, sempre a Terricciola (PI). Mi risponde al telefono una ragazza, e ponendole le stesse domande, mi risponde che non hanno alimenti particolari “come soia, seitan e tofu”, ma che qualcosa di diverso con i legumi possono farlo. Le rispondo con vena simpatica che non vi è alcuna necessità di inserire la soia per rendere un menu interamente vegetale, e che esistono tantissimi legumi più diffusi e comuni da poter utilizzare, eventualmente. Chiedo se è possibile avere dunque un menu dedicato e mi risponde che avrebbero fatto il possibile per farmi trovare qualcosa da mangiare. “Per il dolce? È possibile avere qualcosa?” chiedo. Mi viene risposto che lo troverò. Ringrazio e saluto, contenta per l’apertura nei confronti di un’alimentazione per loro diversa.
La fiducia però viene infranta la sera stessa della cena, per la quale avevo pagato anticipatamente versando la mia quota (33 euro) alla persona incaricata di raccogliere le adesioni.
Quando sono arrivata nel locale, l’amara scoperta: mi sono presentata dicendo che ero io la ragazza vegan (ce n’era anche un’altra, celiaca, e una ragazza intollerante al lattosio). Una delle dipendenti, scorrendo l’indice sul menu A4 stampato e messo su uno dei tavoli da buffet, mi illustra cosa posso mangiare: in pratica per me non c’era un menu a parte, come mi era stato detto, ma “potevo mangiare” tutte le altre cose che non erano gli affettati, i formaggi, le frittatine, gli spinaci con i formaggi ecc. In pratica, delle varie portate, ne potevo mangiare la metà. Per non parlare delle bevande: chiedo se c’è qualcosa per chi non beve alcolici (ovunque servivano vini vari) e viene risposto “sì, l’acqua, prendi pure il tuo calice per scrivere il nome”. Continuando con il menu, mi è stato proposto di ricevere delle verdure grigliate (il solito leitmotiv nei locali a cucina “tradizionale” che si imbattono per loro sfortuna e inesperienza in persone che non mangiano animali) e alla fine mi portano mezza zucchina sottolio. Mentre le altre persone avevano come doppio primo le lasagne e la pasta, a me arrivano due piatti di pennette, al pomodoro e con olio e zucchine. L’ultimo piatto di pennette sarebbe dovuto essere con zucchine e melanzane, ma quest’ultime sono state tolte dopo che lì per lì ho informato che ne sono intollerante. Non avevo detto nulla di questo dettaglio al telefono perché davo per scontato che in tavola non vi fossero alimenti fuori stagione. D’altra parte, eravamo in un agriturismo, e avendo un’amica che ha lavorato per anni nel suo agriturismo, ero consapevole dell’importanza della stagionalità. Ma mi sbagliavo. Abbastanza sconcertata per i due primi di pasta (non sono riuscita a finire tutte le pennette alle zucchine, con mio enorme dispiacere perché detesto lo spreco di cibo), chiedo, mentre agli altri arrivano torta, cantucci, panettone e un altro dolce, se per me era previsto qualcosa come da accordi telefonici. Dopo qualche istante di attesa mi viene servito su un piatto con tovagliolo e cucchiaino un budino confezionato della Valsoia. Avete presente quelli che si vendono in confezioni da due nei supermercati? Persino le persone al tavolo con me (fra cui un’intollerante al lattosio che per evitare problemi si era presa un medicinale apposito per mangiare tutto) hanno guardato il mio piattino con l’espressione di chi si sta chiedendo “ma davvero??”.

il mio dessert, con quelli degli altri di sfondo, presso l’agriturismo Castelvecchio di Terricciola

Ricapitolando, la mia cena è stata composta da:
• tre calici d’acqua naturale
• due cucchiai di cavolfiore bianco
• due crostini ai funghi
• due cucchiai di pappa al pomodoro
• 4 crostini piccoli all’olio
• un cucchiaio di cavolo cappuccio viola
• pennette al pomodoro e alle zucchine
• un budino Valsoia
Totale costo di materia prima per il locale: 5 euro scarsi
Totale costo per me: 33 euro

Alla recensione che ho necessariamente dovuto lasciare al locale, che ha deluso le mie più rosee aspettative, non è tardata una risposta da parte della famiglia che la gestisce, che riporto con piacere prima di controbattere:

“Gli errori sono opportunità per imparare cose nuove e migliorarsi.
È vero, riguardo al vegetarianismo dobbiamo migliorarci, figuriamoci per il vegano! Noi siamo un’Azienda Agricola, che produce vino e olio nel rispetto del territorio e della tradizione toscana; per noi il cibo è condivisione e convivialità, il cibo unisce, non divide.
La nostra è una cucina semplice, fatta da prodotti sani e genuini che provengono per quanto possibile dal territorio. Seguiamo le tradizioni della cucina toscana, che si basa in gran parte sul consumo di carne e prodotti tipici di qualche origine animale; piatti che serviamo per accompagnare e valorizzare il vino che viene prodotto dalla nostra azienda come attività principale.
Questo è il motivo per il quale, come lei ha giustamente osservato, pecchiamo di inesperienza nel campo della cucina 100% vegetale.
Durante la sua telefonata per accertarsi del menù della serata, le è stato comunicato che la cena si sarebbe svolta con modalità a buffet, nel quale avrebbe potuto scegliere le sue preferenze tra i piatti vegetali proposti. Inoltre la nostra cucina aveva preparato esclusivamente per lei un piatto a base di verdure e altri alimenti che ha rifiutato, comunicando SOLO al momento del servizio la sua intolleranza alimentare per quanto riguarda tali alimenti.
La questione della bevanda analcolica non ci tocca minimante, siamo un’Azienda Agricola che produce vino, e non serviamo MAI altri prodotti che non siano di nostra produzione (escluso l’acqua). Se avesse capito o voluto capire il contesto in cui si trovava credo che non avrebbe nemmeno effettuato questo tipo di richiesta. Il suo giudizio così severo ci ferisce molto; noi capiamo e rispettiamo chi ha restrizioni alimentari o chi sceglie uno stile alimentare alternativo e cerchiamo sempre di accogliere e soddisfare ogni tipo di esigenza facendo del nostro meglio. Ci aspettiamo però che chi sceglie di visitare la nostra realtà sia altrettanto rispettoso e aperto nei confronti del nostro lavoro e delle nostre scelte.
Un caro saluto, Famiglia Castelvecchio”

A questa risposta, non posso non ribattere con concetti che dovrebbero essere chiari a chiunque, ma che purtroppo appaiono ignoti per taluni:
tanto per iniziare, l’alimentazione vegetale non è una nutrizione restrittiva. Forse lo è in un immaginario onnivoro dove regnano sovrani stereotipi confusi per verità. L’alimentazione vegetale, a differenza di quanto possano pensare persone che per scelta non si informano né formano professionalmente, è così varia da avere centinaia e centinaia di alimenti mixabili tra di loro, così tanti che si ha quasi difficoltà a elencarli tutti. Lo sanno bene cuochi e chef di locali vegan che ogni stagione si sbizzarriscono in cucina.
Per continuare, in risposta sulle bevande, lungi da me non aver voluto apprezzare il lavoro in ambito di viticultura dell’agriturismo. Certo è che bisogna rendersi conto che al mondo esistono anche persone che non consumano alcolici per ragioni salutistiche o per scelta personale. Se una persona non beve vino, perché conteggiarlo nel prezzo fisso? Perché se una persona beve solo acqua – visto che è stata quella la bevanda alternativa suggerita dal locale – deve pagare lo stesso prezzo? Un bicchiere d’acqua costa quanto un calice di vino? Questa è una grossa ingiustizia, altroché!
Per concludere, sempre parlando del solito prezzo ma con offerte ridotte, è necessario sottolineare che se un buffet prevede 10 portate e qualcuno segnala una dieta diversa, devono essere garantite 10 portate. Altrimenti, se le opzioni da poter consumare sono dimezzate, anche il costo della cena deve essere dimezzato, poiché dimezzata è l’offerta!
La cucina aveva preparato per me melanzane, peperoni e zucchine grigliate: quelle erano le ‘alternative’ ai formaggi, agli affettati, alle frittate e alle salsine con derivati animali. Ho detto che non importavano peperoni e melanzane, perché ne sono intollerante, e mi è stata così portato un piattino con mezza zucchina all’olio. Se ho segnalato la cosa solo sul momento è perché mai avrei immaginato che un agriturismo mi avrebbe proposto delle cose simili: peperoni e melanzane SONO ORTAGGI FUORI STAGIONE. In inverno la natura offre carciofi, cavoletti di Bruxelles, broccoli, cardi, topinambur, porro, funghi, bietole a costa, spinaci, cavolfiori, cavolo verza, cavolo, lattuga, cappuccio, porri, rape, sedano, cicoria, scarola, finocchi, radicchio, indivia, patate.. Potevano essere preparati mille altri piatti, potevano essere preparati gli spinaci senza formaggio per esempio (bastava toglierne un po’ a parte); ma se manca un ingrediente principale, manca tutto il resto: questo ingrediente si chiama volontà.


L’esperienza che ho vissuto in questo agriturismo ha lasciato senza parole non solo alcuni commensali, ma anche decine e decine di persone che seguono la mia pagina e che hanno deciso di raccontare il proprio vissuto e le proprie esperienze negative in ristoranti in tutta Italia.
Su Think Green • Live Vegan • Love Animals sono giunti messaggi da parte di persone trattate in modo pessimo in occasione di pranzi di lavoro, di pranzi di matrimonio e altre occasioni di incontro.
Essira ha segnalato che in un locale di cucina tradizionale ad Arezzo le hanno saputo offrire solo dei fagioli cannellini e degli spinaci. Non sa quanto è costato il tutto, poiché hanno offerto i suoi amici; Silvia ha ricevuto un piatto pieno d’olio in un locale dove era con la sua famiglia; Federica ha voluto raccontare di quanto poco, e male, ha mangiato al ristorante in occasione del matrimonio di una coppia di amici; Simone, vegan e super sportivo, mi ha raccontato della disparità di offerta a cena fuori con colleghi di palestra, dove gli altri avevano “una spasa di affettati, formaggi, giro pizza a volontà, patatine e birre” mentre lui “solo quattro crostini, delle verdure, una pizza e acqua”. Il tutto al solito prezzo dei colleghi che si rimpinzavano.

Tutte queste esperienze negative raccolte convergono in un messaggio che deve arrivare chiaro a ristoratrici e ristoratori: basta con l’ignoranza, basta con la non conoscenza, basta con gli stereotipi, i pregiudizi e le offerte scarse. Se una persona cliente paga quanto gli altri, deve ricevere la stessa quantità di cibo. Se si paga un servizio, quel servizio deve essere garantito. Altrimenti, se le offerte si riducono, deve essere rimodulato anche il prezzo, per onestà e correttezza!

Concludo questo articolo con dei punti importanti da trattare, che vogliono essere sia d’aiuto verso chi fa ristorazione e non sa da dove iniziare, sia per chi si trova a pagare un servizio e desidera essere soddisfatto.



Suggerimenti per chi ha un ristorante:
• la cucina vegetale è più semplice di quanto non si pensi, ed informarsi su come realizzare piatti interamente vegetali non è solo sinonimo di professionalità, ma anche di attenzione alla clientela (vegan, vegetariana, intollerante al lattosio) che con la propria presenza porta fatturato. Imparare a cucinare vegan è un investimento per la propria attività. Esistono corsi di cucina vegetale da poter seguire (come quelli realizzati da chef Stefano Momentè), e ricettari gratuiti con piatti 100% vegetali da poter proporre nel menu, magari personalizzati. Potete scaricare QUI la guida su come rendere vegan friendly il vostro locale, tutti i ricettari in versione PDF gratuita di AgireOra Edizioni:
Ricette di Natale senza crudeltà
Menu di Pasqua vegan
Ricette vegan facili, veloci e gustose
La cucina della tradizione in chiave vegan
Primi, secondi, latti vegetali e formaggi vegan
Dolci tentazioni senza crudeltà
Street & Finger Food vegan style
Tofu e Seitan: impariamo a cucinarli
Corso introduttivo di cucina e pasticceria vegan
• se proponete pranzi o cene a menu fisso con prezzo prestabilito, e qualcuno/a della clientela non mangia determinati alimenti, fate in modo che vi sia lo stesso numero di portate con le stesse quantità per tutti. Altrimenti, diminuite il prezzo per chi in tavola riceve meno cibo.
• non pretendete dalla clientela che non beve alcolici che paghi la stessa cifra di quella che li beve. È una questione di rispetto, serietà e correttezza fiscale!
• se non desiderate o non potete garantire opzioni vegan, siate onesti e comunicatelo apertamente così da non far vivere una pessima esperienza a persone che pagano per ricevere un servizio: eviterete così di diffondere lo stereotipo del veganismo come dieta restrittiva fatta di rinunce e scarsità di cibo. La vera realtà è tutt’altra!

Suggerimenti per chi va a pranzo o a cena in locali di ristorazione tradizionale:
• chiamate sempre PRIMA il locale per sapere se avrete un menu a parte. Meglio se chiedete via email: scripta manent.
• anche se siete stati rassicurati/e di trovare un menu per voi, fatevi dire anticipatamente in cosa consiste: avrete così il tempo e il modo di capire se il prezzo è proporzionato all’offerta, e se è il caso di disdire e non finanziare quella specifica attività.
• se necessario, inviate via email i ricettari gratuiti alla struttura per far sì che i gestori possano accedere a ricette utili per preparare nuove proposte.
• NON PAGATE MAI prima di aver avuto un servizio: attendete di vedere se sono state mantenute le promesse. Se non siete state/i trattati adeguatamente, pretendete di pagare il giusto, non il prezzo per intero. Se notate atteggiamenti ostili e intimidatori, chiamate la Guardia di Finanza, o i Carabinieri se necessario.
• pretendete un prezzo contenuto e bilanciato se non consumate alcolici: non è giusto che nelle serate a prezzo fisso dobbiate pagare di più rispetto a chi consuma più di voi.
• se non siete stati trattati bene, lasciate una recensione negativa: aiuterete altre persone a evitare di vivere la stessa situazione. Recensite anche se vi siete trovati bene: è importante elogiare e gratificare chi si impegna.
• lasciate una mancia se il servizio ha soddisfatto le vostre aspettative: la gratificazione è sempre uno stimolo positivo per fare di meglio.

Basta veramente poco per fare bene e rendersi all’altezza dell’offerta vegan.
Un esempio? Quello delle due testimonianze pubblicate sul mio blog giunte da due persone diverse: Sharon è rimasta estasiata dal menu vegan che hanno preparato per lei a un matrimonio tenutosi presso la Tenuta La Vallonea (foto di un piatto a seguire), e Francesco si è sentito rispettato e accolto dallo staff del Cigliere del Rustico a Empoli dove aveva chiesto menu vegan per la cena della sua squadra di calcio.


[Se desiderate fare una segnalazione, in positivo o in negativo, potete scrivermi una mail a carmen.veganblogger@gmail.com]

Al prossimo articolo!

Carmen

Intolleranti ai Derivati Animali OK, Vegan KO: Analisi Sociale e Riflessioni

Care lettrici e cari lettori,
l’articolo che pubblico oggi è incentrato su una riflessione che merita di essere condivisa con voi, riguardante la differenza nell’atteggiamento sociale destinato a chi non consuma animali o loro derivati per ragioni salutistiche (intolleranza e allergie) o religiose e a chi invece non ne consuma per ragioni morali.

In foto: un anello da naso destinato ai vitellini e alle vitelline affinché, nel tentativo di succhiare latte alle mammelle delle loro madri, le feriscano spingendole ad allontanarsi. Strumenti di violenza nel settore zootecnico che spezza legami materni.



Qualche giorno fa il mio compagno ed io abbiamo fatto un pranzo veloce fuori casa fermandoci a prendere del cibo al reparto panetteria di un punto vendita di una nota catena di supermercati. Consapevoli che in alcuni prodotti da forno vengono utilizzati ingredienti di origine animale, tipo lo strutto (grasso suino, principalmente) ci siamo assicurati che le nostre scelte fossero 100% vegetali con olio d’oliva e senza latte/formaggi/mozzarella.
“Per caso contiene latte o strutto questa focaccina con i pomodori?” ho chiesto alla dipendente che era dietro al bancone in attesa delle nostre scelte.
No, è all’olio di oliva e non contiene latte” mi ha risposto, mentre ne inseriva nel sacchetto due per pesare il tutto sulla bilancia. Chiuso il sacchetto, ce lo ha consegnato per confezionare della cecina (torta di ceci). Mentre attendevamo quella, ho letto – come faccio sempre – gli ingredienti riportati sulla fascia di carta adesiva per sincerarmi che fosse tutto ok.
Sorpresa!
Nelle focaccine al pomodoro c’era il burro.
Facciamo presente alla dipendente che purtroppo gli alimenti che ci ha confezionato contengono latte, e le diciamo se gentilmente può rimetterli a posto, avendo guanti e possibilità di farlo nella più totale igiene. “Mi avete chiesto se contenevano latte e infatti il latte non c’è, c’è il burro” ci risponde, come se il latte fosse latte e il burro fosse burro.
Le faccio presente che il burro è un derivato del latte, e che non lo consumiamo.
Ci orientiamo verso altro tipo di schiacciate per completare il nostro pranzo da asporto quando la dipendente esordisce con un sorriso rassicurante, dicendo “vi suggerisco di prendere gli alimenti nel reparto senza lattosio se siete intolleranti al latte“. Probabilmente pensava che fossimo due persone che, poverine per loro, per ragioni di salute non potevano consumare derivati animali. La sorpresa per lei è arrivata quando il nostro responso non ha combaciato con le sue aspettative: “la ringraziamo, ma non siamo intolleranti al lattosio, semplicemente non consumiamo derivati animali per ragioni etiche e morali“.
Dopo questa informazione giunta da parte nostra, la dipendente ha cambiato espressione.
Lo sguardo, prima rassicurante e benevolo, si è fatto serio e la maschera di gentilezza ha lasciato il posto a una nuova, più austera: non eravamo persone a cui la natura ha imposto di ‘privarci’ di determinati alimenti, eravamo persone che volontariamente avevano deciso di ‘privarsi’ di quei determinati alimenti, pertanto ‘artefici del nostro stesso male’.

Avete mai notato come cambia l’atteggiamento nei confronti di chi non consuma derivati animali o animali se la ragione di fondo è legata a scelte volontarie e non esterne ed arbitrarie?
Una persona che per motivi religiosi non consuma il corpo di un determinato animale, viene compresa subito e rispettata: è la religione che ha scelto per lei, pertanto merita rispetto. Se il rispetto viene meno, si grida al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza religiosa punita dalla legge.
Se una persona, non per motivi religiosi ma per libera volontà personale, decide di non mangiare NESSUN ANIMALE, quel rispetto viene meno e subentrano astio, incomprensione, ostilità e spesso anche derisione.

Perché accade questo?
Provo a dare una risposta.

Credo che, in una società basata su modus vivendi, scelte e stili di vita dettati dall’alto che cadono addosso per effetto domino ai subalterni (noi, comuni cittadine e cittadini), si tenda a tollerare e ad accettare una determinata caratteristica quando questa è scaturita da decisioni esterne subite passivamente, come può essere la religione. Per abitudine e indottrinamento, alle masse non turbano i tratti salienti se la salienza è determinata da scelte non prese direttamente dall’individuo ma da realtà esterne.
In poche parole, quando si è cittadini e cittadine obbedienti a qualcosa (politica, religione, regole, tradizioni), va bene. Quando invece le decisioni vengono prese per ragioni, motivi, sentimenti interni, scatta l’astio che solo la libertà riesce a generare in coloro che a livello inconscio sanno di non averla.

Nella nostra società, chi decide di voler prendere le distanze dalla ‘normalità’ – una normalità socialmente costruita e naturalizzata come vera – è incompreso, e per taluni merita finanche derisione, ghettizzazione e scherno, per il fatto che ha deciso in autonomia di non sottostare a decisioni che ricadono su tutte le persone. Ne ho prova quotidianamente sulla mia pagina Facebook, dove ogni giorno raccolgo commenti denigratori verso chi, come me, per scelta non finanzia la violenza ai danni degli animali.
Tutto dunque ruota attorno all’obbedienza: chi non obbedisce a regole sociali, alle convenzioni e alla normativa, è un elemento problematico che non si allinea, non si omologa e che quindi deve essere represso.

Perché questa insofferenza verso chi decide, autonomamente, di non sottostare a regole violente, come quella del consumare corpi animali?

La risposta potrebbe essere più semplice ed evidente di quanto non sembri: chi non ha il coraggio di ribellarsi alle ingiustizie, teme chi riesce a farlo. Teme, invidia, odia l’altro, diverso da sé, per le caratteristiche l’altro ha e che non riesce a raggiungere.

Disallinearsi, alienarsi dalla violenza, rifiutarsi di sostenere ingiustizie sono atti di quotidiana rivoluzione possibili solo a persone consapevoli, forti e determinate.
Coraggio, forza, determinazione, disinteresse verso il giudizio esterno e senso di giustizia purtroppo non sono qualità per tutti: ci sono persone che, talmente assuefatte e schiave del sistema, non riescono a spezzare le catene immaginarie che hanno ai polsi.

L’invito per chi ha già compreso e abbracciato uno stile di vita empatico, è quello di continuare senza dubbi né incertezze: l’amore verso ogni forma di vita è l’unica verità che conosciamo.
A chi invece nutre astio verso le persone sopra descritte, il mio invito è quello a deporre le armi sociali, realizzando che ogni regola, ogni realtà deve essere analizzata e valutata, prima di essere accettata ad occhi chiusi. Quando li avrete aperti, noterete una società violenta, che si arroga il diritto di far male ad altre esistenze, e che potrebbe diventare un genere virtuoso e positivo se solo venisse meno alla cieca obbedienza verso regole speciste.


Buona riflessione.


Carmen Luciano

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