Archivio mensile:dicembre 2024
Intolleranti ai Derivati Animali OK, Vegan KO: Analisi Sociale e Riflessioni
Care lettrici e cari lettori,
l’articolo che pubblico oggi è incentrato su una riflessione che merita di essere condivisa con voi, riguardante la differenza nell’atteggiamento sociale destinato a chi non consuma animali o loro derivati per ragioni salutistiche (intolleranza e allergie) o religiose e a chi invece non ne consuma per ragioni morali.

Qualche giorno fa il mio compagno ed io abbiamo fatto un pranzo veloce fuori casa fermandoci a prendere del cibo al reparto panetteria di un punto vendita di una nota catena di supermercati. Consapevoli che in alcuni prodotti da forno vengono utilizzati ingredienti di origine animale, tipo lo strutto (grasso suino, principalmente) ci siamo assicurati che le nostre scelte fossero 100% vegetali con olio d’oliva e senza latte/formaggi/mozzarella.
“Per caso contiene latte o strutto questa focaccina con i pomodori?” ho chiesto alla dipendente che era dietro al bancone in attesa delle nostre scelte.
“No, è all’olio di oliva e non contiene latte” mi ha risposto, mentre ne inseriva nel sacchetto due per pesare il tutto sulla bilancia. Chiuso il sacchetto, ce lo ha consegnato per confezionare della cecina (torta di ceci). Mentre attendevamo quella, ho letto – come faccio sempre – gli ingredienti riportati sulla fascia di carta adesiva per sincerarmi che fosse tutto ok.
Sorpresa!
Nelle focaccine al pomodoro c’era il burro.
Facciamo presente alla dipendente che purtroppo gli alimenti che ci ha confezionato contengono latte, e le diciamo se gentilmente può rimetterli a posto, avendo guanti e possibilità di farlo nella più totale igiene. “Mi avete chiesto se contenevano latte e infatti il latte non c’è, c’è il burro” ci risponde, come se il latte fosse latte e il burro fosse burro.
Le faccio presente che il burro è un derivato del latte, e che non lo consumiamo.
Ci orientiamo verso altro tipo di schiacciate per completare il nostro pranzo da asporto quando la dipendente esordisce con un sorriso rassicurante, dicendo “vi suggerisco di prendere gli alimenti nel reparto senza lattosio se siete intolleranti al latte“. Probabilmente pensava che fossimo due persone che, poverine per loro, per ragioni di salute non potevano consumare derivati animali. La sorpresa per lei è arrivata quando il nostro responso non ha combaciato con le sue aspettative: “la ringraziamo, ma non siamo intolleranti al lattosio, semplicemente non consumiamo derivati animali per ragioni etiche e morali“.
Dopo questa informazione giunta da parte nostra, la dipendente ha cambiato espressione.
Lo sguardo, prima rassicurante e benevolo, si è fatto serio e la maschera di gentilezza ha lasciato il posto a una nuova, più austera: non eravamo persone a cui la natura ha imposto di ‘privarci’ di determinati alimenti, eravamo persone che volontariamente avevano deciso di ‘privarsi’ di quei determinati alimenti, pertanto ‘artefici del nostro stesso male’.
Avete mai notato come cambia l’atteggiamento nei confronti di chi non consuma derivati animali o animali se la ragione di fondo è legata a scelte volontarie e non esterne ed arbitrarie?
Una persona che per motivi religiosi non consuma il corpo di un determinato animale, viene compresa subito e rispettata: è la religione che ha scelto per lei, pertanto merita rispetto. Se il rispetto viene meno, si grida al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza religiosa punita dalla legge.
Se una persona, non per motivi religiosi ma per libera volontà personale, decide di non mangiare NESSUN ANIMALE, quel rispetto viene meno e subentrano astio, incomprensione, ostilità e spesso anche derisione.
Perché accade questo?
Provo a dare una risposta.
Credo che, in una società basata su modus vivendi, scelte e stili di vita dettati dall’alto che cadono addosso per effetto domino ai subalterni (noi, comuni cittadine e cittadini), si tenda a tollerare e ad accettare una determinata caratteristica quando questa è scaturita da decisioni esterne subite passivamente, come può essere la religione. Per abitudine e indottrinamento, alle masse non turbano i tratti salienti se la salienza è determinata da scelte non prese direttamente dall’individuo ma da realtà esterne.
In poche parole, quando si è cittadini e cittadine obbedienti a qualcosa (politica, religione, regole, tradizioni), va bene. Quando invece le decisioni vengono prese per ragioni, motivi, sentimenti interni, scatta l’astio che solo la libertà riesce a generare in coloro che a livello inconscio sanno di non averla.
Nella nostra società, chi decide di voler prendere le distanze dalla ‘normalità’ – una normalità socialmente costruita e naturalizzata come vera – è incompreso, e per taluni merita finanche derisione, ghettizzazione e scherno, per il fatto che ha deciso in autonomia di non sottostare a decisioni che ricadono su tutte le persone. Ne ho prova quotidianamente sulla mia pagina Facebook, dove ogni giorno raccolgo commenti denigratori verso chi, come me, per scelta non finanzia la violenza ai danni degli animali.
Tutto dunque ruota attorno all’obbedienza: chi non obbedisce a regole sociali, alle convenzioni e alla normativa, è un elemento problematico che non si allinea, non si omologa e che quindi deve essere represso.
Perché questa insofferenza verso chi decide, autonomamente, di non sottostare a regole violente, come quella del consumare corpi animali?
La risposta potrebbe essere più semplice ed evidente di quanto non sembri: chi non ha il coraggio di ribellarsi alle ingiustizie, teme chi riesce a farlo. Teme, invidia, odia l’altro, diverso da sé, per le caratteristiche l’altro ha e che non riesce a raggiungere.
Disallinearsi, alienarsi dalla violenza, rifiutarsi di sostenere ingiustizie sono atti di quotidiana rivoluzione possibili solo a persone consapevoli, forti e determinate.
Coraggio, forza, determinazione, disinteresse verso il giudizio esterno e senso di giustizia purtroppo non sono qualità per tutti: ci sono persone che, talmente assuefatte e schiave del sistema, non riescono a spezzare le catene immaginarie che hanno ai polsi.
L’invito per chi ha già compreso e abbracciato uno stile di vita empatico, è quello di continuare senza dubbi né incertezze: l’amore verso ogni forma di vita è l’unica verità che conosciamo.
A chi invece nutre astio verso le persone sopra descritte, il mio invito è quello a deporre le armi sociali, realizzando che ogni regola, ogni realtà deve essere analizzata e valutata, prima di essere accettata ad occhi chiusi. Quando li avrete aperti, noterete una società violenta, che si arroga il diritto di far male ad altre esistenze, e che potrebbe diventare un genere virtuoso e positivo se solo venisse meno alla cieca obbedienza verso regole speciste.
Buona riflessione.
Carmen Luciano
“Bye Bye Frida”: Le Irriverenti Pinzette per Sopracciglia di Legami
Care lettrici e cari lettori,
oggi dedico questo articolo a una critica costruttiva che ritengo doverosa e importante da muovere verso il marchio italiano Legami.
Legami è un brand di accessori, gadget, cancelleria e oggettistica che realizza e mette in vendita cose davvero carine che si possono trovare nei negozi monomarca o nelle librerie più fornite. Assieme a me, e a tante altre persone che apprezzano le varie linee, ne è cliente anche un collega antispecista che oggi pomeriggio mi ha mostrato un qualcosa che mai avrei pensato di trovare firmato Legami.
Si tratta delle mini pinzette colorate vendute in un set da quattro. Tali accessori non avrebbero avuto nulla di fuori luogo, anzi, se non fosse stato per il nome che è stato loro attribuito: “BYE BYE FRIDA“.
Anche una bambina (e così è successo per davvero) riuscirebbe a fare la connessione tra sopracciglia e Frida Kahlo. Cosa voleva dirci Legami con questo titolo? Ciao ciao sopracciglia e mono ciglio come quello celebre artista? Se così fosse – e a quanto pare così è – rattrista molto pensare che una donna come la Kahlo sia ridotta al simbolo del sopracciglio unito che la contraddistingueva. Ancora più triste è sapere che le viene detto “bye bye” nell’atto di pulire la pelle dalla peluria centrale fra le due sopracciglia.
Era veramente necessario tirare in ballo la personalità di Frida, che durante la sua vita ha cercato di andare oltre i pregiudizi, sfidando i canoni estetici e i cliché e valorizzando la sua bellezza naturale?

Credo che Legami abbia avuto decisamente una caduta di stile con questo titolo per questo set di pinzette. Mi auguro che venga cambiato il nome di tale confezione e che in futuro non avvengano più parallelismi simili.
Nel frattempo, ho scritto all’azienda per esternare il mio disappunto.
Questo è il messaggio che ho fatto recapitare all’azienda compilando il form qui:
Gentile azienda Legami,
sono una vostra cliente e apprezzo molto le vostre creazioni originali di oggettistica e cancelleria.
Vi scrivo perché purtroppo la stima per il vostro brand è venuta a mancare per una scelta commerciale che reputo triste che avete intrapreso. Ho avuto modo di constatare che avete soprannominato “Bye Bye Frida” un set di 4 pinzette per le sopracciglia. È lapalissiano che sia un riferimento a Frida Kahlo con il suo celebre mono-ciglio. Mi domando: perché? Perché ridurre tale icona, donna, attivista e artista alla sua peluria? Perché dirle “bye bye” come se le sue scelte estetiche fossero da non appoggiare? La trovo una forma di demonizzazione che poteva e doveva essere evitata. Spero possiate cambiare nome al prodotto ed evitare in futuro accostamenti simili che sembrano frutto di mera irriverenza.
Distinti saluti.














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