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°°Intervista all’Ex Amazzone Laura De Benetti: Non è Amore se c’è Subordinazione°°
Care lettrici e cari lettori, nuovo appuntamento con le interviste di Think Green • Live Vegan • Love Animals!
A parlare della sua esperienza con gli animali è oggi Laura De Benetti, ex amazzone che dopo anni trascorsi a sfruttare i cavalli ha compreso che il vero amore è scendere dalla loro schiena e smettere di subordinarli alle volontà umane per interessi, lucro o ego.
La ringrazio enormemente per aver accettato di rispondere alle mie domande e di rendere pubblico parte del suo vissuto personale, che spero possa aiutare a riflettere chi dice di amarli ma usa queste meravigliose creature.
Buona lettura.

• Quando è nata la tua passione per i cavalli, Laura?
La passione per i cavalli nasce dentro di me quando ero piccolissima: ad appena un anno o poco più mi mettono per la prima volta in sella ad una cavalla di amici dei miei genitori, ed in quel momento mi innamoro follemente di questo fantastico animale.
• Che idea avevi del cavallo, come animale in contatto con la nostra specie, quando eri bambina? Senti di aver ricevuto influenza da parte di cartoni animati, TV o libri?
Ricordo come non mi interessasse tanto il fatto di “montare” i cavalli, quanto la sola idea di poter godere della loro vicinanza, stare ad osservarli brucare l’erba, accarezzare il loro collo e sentire il loro profumo.
Non ricordo di aver ricevuto grandi influenze da cartoni animati, TV o libri (anche perché guardavo molto poco la televisione, preferivo di gran lunga passare il tempo giocando all’aperto).
• Che tipo di persona eri nei confronti di questi animali?
Non avevo la possibilità economica, da ragazzina, di frequentare qualche corso di equitazione; inizio ufficialmente, quindi, a 20 anni, appena riesco a mettere due soldi da parte per poterlo fare.
Scopro, però, quasi nell’immediato che non c’è grande spazio per ciò che piaceva fare a me: non mi viene fornita nessuna conoscenza etologica di questo splendido animale e vengo buttata in sella per la prima ora di lezione. Mi dico che, comunque, potrei avere il tempo di coccolare un po’ il cavallo a fine lezione, ma il più delle volte questo tempo non c’è, perché i cavalli fanno anche 2-3 ore di lezione con persone diverse, pertanto mi trovavo allo scadere dell’ora a scendere e consegnare il cavallo nelle mani della persona che aveva lezione dopo di me, quasi fosse una moto o una bicicletta.
Di fatto, non conoscevo nessuno che avesse cavalli “da compagnia”, e succede che ben presto nella mia testa si sedimenta l’idea che l’unico modo per vivere davvero il cavallo sia quello: così inizio a sfruttarli io per prima, prendo un cavallo in “mezza fida” (condiviso con altre 3 persone!), mi iscrivo a gare di salto, di dressage, vado a trekking in montagna, e smetto ufficialmente di ascoltare la voce dentro di me che mi sussurrava quanto fossi incoerente io, amante degli animali e pure vegetariana (all’epoca, oggi sono vegana). Il paradosso che stavo vivendo era così grande che mi copriva gli occhi: non mangiavo gli animali, ma li usavo per vestire me o il mio cavallo per le gare. Ero contro la violenza sugli animali, ma usavo frustino e speroni solo perché mascherati dal termine tecnico di “aiuti” quando montavo a cavallo. Ho sempre trovato le imboccature dei metodi di coercizione (più o meno severi), ma trovavo sempre qualche scusa da raccontarmi, in modo molto ipocrita.
• Cosa ti ha portato a maturare un pensiero diverso?
Nel 2013 decido di acquistare il cavallo che avevo in mezza fida, che è con me ancora oggi e che mi ha aiutata tantissimo nel cambiare completamente la mia prospettiva.
Ho sempre saputo, dentro di me, di non essere portata per il mondo dell’equitazione: ricordo ancora i mal di pancia prima di salire in sella per la paura che potesse succedere qualcosa a entrambi, il terrore ogni volta che il mio cavallo si spaventava improvvisamente di qualcosa o sgroppava infastidito dalla mia presenza.
Il mio cavallo, 5 anni dopo, inizia ad avere ripetuti episodi di colica e diventa insofferente e particolarmente mordace con le persone che passano davanti al suo box; quando vede la sella inizia a gonfiare la pancia (così da rendermi difficile la chiusura del sottopancia) e a serrare i denti rendendomi impossibile mettergli la testiera (con, appunto, l’imboccatura). La veterinaria mi comunica che le coliche probabilmente sono causate dallo stress dello stare in box.
Inizio, quindi, a chiedermi se valesse la pena far fare al mio cavallo una vita che lo stava portando ad ammalarsi, solo di fatto per compiacere il mio ego.
In poco tempo decido di mollare tutto e di stravolgere la nostra vita, togliendogli finalmente i ferri dai piedi, permettendogli di vivere libero (prima passava giornate intere in un box 4×4), in gruppo con i suoi simili, con un box aperto su ettari di colline e boschetti.
Di questo, non posso che ringraziare le persone che gestiscono il posto dove vive il mio cavallo, perché, pur pensandola diversamente da me per quanto riguarda il fatto di montare i cavalli, mi hanno insegnato moltissimo sulla gestione del cavallo in libertà e sull’importanza della loro vita sociale, in branco. Grazie a loro ho tolto la campana di vetro sotto cui tenevo il mio cavallo: la mia concezione era così distorta, che l’idea che potesse correre libero insieme ad altri cavalli, giorno e notte, mi toglieva il sonno nella paura che potesse farsi male, abituata com’ero a tenere il cavallo in box o saltuariamente e per tempi ristretti (mezza giornata) libero in un paddock di pochi metri, solo e magari sotto il sole perché senza alberi.
Questo tipo di realtà in cui ora lui vive è più unica che rara nel mondo dei cavalli.

• Ci sono persone che dicono di amare i propri cavalli pur tenendoli chiusi dentro box, utilizzandoli per fare gare o per fargli trainare una carrozza: cosa pensi in merito?
Sull’amore distorto che si dice di provare verso cavalli che in realtà sfruttiamo, per l’ego o per i soldi, temo di essere l’ultima persona a poter esprimere un pensiero, perché io per prima ho sventolato l’amore per il mio cavallo dall’alto della mia sella, fino a qualche anno fa. Credo sia un percorso difficile per chi è nel mondo dei cavalli, perché questi animali splendidi ci sbattono in faccia continuamente tutta la nostra piccolezza, con cui siamo tenuti a fare i conti.
Parlando per me, non potrei più tornare a montare a cavallo. Ho pensionato il mio, ben in anticipo rispetto alla media dell’età in cui solitamente vengono pensionati i cavalli, per motivi etici, facendo i conti con il senso di rassegnazione che deriva dal riconoscere che, per anni, di fatto ho sfruttato il mio cavallo esclusivamente per una mancanza di autostima che stava alla base: montare a cavallo mi faceva sentire forte e coraggiosa, ma in realtà era solo apparenza.
• Cosa non ti piace del mondo dell’equitazione?
Non c’è nulla che mi piaccia del mondo dell’equitazione. Il termine stesso implica una subordinazione del cavallo, quindi una mentalità specista nei confronti dell’animale.
Non conosco scuole equestri che insegnino il semplice stare insieme a questo meraviglioso animale, che educhino alla sua corretta gestione, e non a fini umani ma semplicemente per il benessere dell’animale.
Mi sono scontrata con veterinari che mi invitavano a tornare in sella “per il suo bene”, senza suggerirmi altre vie per permettergli appunto di vivere sereno e senza una sella addosso.
• Che tipo di rapporto hai adesso con i cavalli?
Attualmente ho instaurato un rapporto quanto più possibile di non subordinazione. Con il mio cavallo facciamo occasionalmente qualche esercizio da terra ed in libertà su consiglio della fisioterapista (la quale a sua volta mi ha confermato i danni dell’uso improprio di imboccature e selle), esclusivamente per la sua salute muscolare/articolare. Per il resto, vive le sue giornate esattamente come ogni cavallo dovrebbe fare: libero ed in branco.
Non potrei mai più tornare indietro.

• Hai mai vissuto episodi di discriminazione o derisione per le tue scelte?
Certo, le ho avute in passato e continuo ad averle oggi (sottolineo, come già detto, non dalle persone che gestiscono il luogo dove siamo oggi).
Tra le altre cose, mi è stato detto che questo cambio di vita in realtà era una scusa, dettata dalla paura del montare a cavallo; in parte è vero, perchè proprio il sentimento di timore che ho sempre provato nei confronti di questi animali, pur facendo attività agonistica, mi ha certamente aiutata ad ascoltarmi nel profondo per capire che stavo sbagliando in toto.
Moltissime persone, anche al di fuori dall’ambiente dell’equitazione, quando vengono a sapere che ho un cavallo, non capiscono come sia possibile che io lo mantenga, di fatto pagando l’equivalente di un piccolo mutuo, per “non farci niente“. Eppure è proprio questo fare niente, questo semplice “stare” insieme a lui che mi regala un immenso senso di appagamento, inspiegabile a parole.
• Hai un messaggio che desideri inviare a lettrici e lettori?
Anzitutto vorrei ringraziare Te per darmi la possibilità di raccontare la mia storia, spero possa aiutare a sensibilizzare le persone sulla tematica dello sfruttamento che si cela dietro il mondo dell’equitazione.
La mia esperienza è piuttosto ridotta e limitata ai 9 anni in cui ho bazzicato in questo campo, ma è stata sufficiente a farmi capire che ci sono troppe cose che non vanno.
Conosco molte persone in questo mondo, che io considero persone splendide in generale, le quali dicono di amare i propri cavalli, di non mangiare carne, di battersi contro la violenza sugli animali, ma poi di fatto senza rendersene conto sfruttano i cavalli esclusivamente per scopi personali. Mi piacerebbe ci fosse anche solo una piccola riflessione su questo, del tutto priva di qualsivoglia giudizio (che il più delle volte porta a scontri e non ad un dialogo costruttivo).
Chissà che poi ne possa nascere una rivoluzione generale!
°°Perché ho lasciato il mondo dell’Equitazione: Intervista a Emanuele Corrente°°
Cari e care followers,
l’intervista che state per leggere è forse uno degli argomenti più interessanti che ho avuto il piacere di trattare e di pubblicare sul mio blog in tutti questi anni di attività e pubblicazioni. Come sapete, fra le tante cause che sostengo, da anni mi batto anche per la conversione delle carrozze a trazione animale, servizio turistico della città di Pisa, e in generale contro la subordinazione e la schiavitù dei cavalli al genere umano.
È stato proprio grazie a un articolo di giornale riguardo l’ultima manifestazione organizzata da me e Animalisti Italiani a Pisa che sono entrata in contatto con Emanuele Corrente, sostenitore di IHP ma soprattutto ex Trainer pentito di aver fatto parte del mondo dell’equitazione.
Emanuele per svariati anni è stato totalmente immerso in quella realtà che stiamo cercando di far cessare, quella in cui i cavalli sono confinati dentro lo stereotipo di animali da lavoro, da galoppo, da trotto, da corsa, da gara, da traino e tante altre invenzioni antropocentriche umane. Aveva delle convinzioni su questi animali, le stesse che hanno ancora chi li doma e detiene per i più disparati fini. Ma qualcosa ad un certo punto dentro di sé è scattato. È iniziato un processo di catarsi che lo ha portato a vedere quelle creature in un altro modo, in un modo totalmente diverso, e di punto in bianco quel modo che gli sembrava fatto di amore, collaborazione persona-animale e passione si è rivelato per quello che era, per ciò che è realmente.
Una testimonianza preziosa, quella di Emanuele, che ci aiuta a capire meglio quali situazioni vivono i cavalli, ma anche un esempio lampante di come non è mai troppo tardi per abbandonare gli stereotipi e iniziare davvero a rispettare questa specie sottomessa da millenni.
Buona lettura e buona consapevolezza.

• Ciao Emanuele, benvenuto sul mio blog e grazie per aver accettato la mia intervista.
Come prima cosa ti chiedo, quando è stato il primo contatto che hai avuto con i cavalli?
La prima volta che sono entrato in contatto con un cavallo avevo 7/8 anni. Nel paesino della provincia di Viterbo dove sono cresciuto, proprio dietro casa, c’era un signore che aveva una femmina di nome Ginetta. Era un Haflinger. Iod a piccolo andavo lì e rimanevo affascinato da questo animale. All’epoca mi sembrava enorme, poi screscendo ho scoperto che è una delle razze più piccole. Adoravo il legame che c’era fra quell’uomo e il cavallo, ne ero affascinato, lo trattava come io trattavo i miei cani. Quello è stato il mio primo contatto con i cavalli che mi ha fatto capire che era nata una passione per loro.
• Hai riferito di aver fatto parte del mondo dell’equitazione, quale era il tuo ruolo?
Nel mondo dell’equitazione ho fatto la gavetta, sono partito dal basso. Ho iniziato con il ruolo di Artiere, che puliva le scuderie e i box, fino ad arrivare a gestirle le scuderie. Ho fatto l’Artiere, il Groom, il Rider ed infine il Trainer e lo Stable Manager. Ho una panoramica sul mondo equestre vissuta in tutti gli step della vita professionale dell’equitazione. Anche sulle condizioni di lavoro umane nelle scuderie ci sarebbe molto da dire.
• Cosa ne pensi del mondo dell’equitazione? e perché ne hai preso le distanze?
Il mondo dell’equitazione per me è qualcosa di osceno sotto tutti i punti di vista. Dal punto di vista del concetto di idea di cavallo, animale che viene allontanato da quella che è la sua natura e che viene incluso quasi esclusivamente in quello che è un concetto di Performance. Questo non accade solo ai livelli altissimi. Accade anche purtroppo, e nel modo peggiore, ai livelli più bassi e amatoriali, dove il tipo di uso di questi animali è amatoriale, regionale, provinciale. L’animale è detenuto per una determinata Performance ed è sfruttato per quella determinata Performance. È ciò che ha rovinato l’equitazione. Alla base della vera equitazione c’è il voler interagire con l’animale in modo rispettoso. Escludendo il retaggio che può avere l’utilizzo dell’uomo del cavallo, la sinergia che c’era oggi non c’è più e nemmeno il benessere.
Il principale problema per me del mondo dell’equitazione è il chiudere il cavallo all’interno delle Performance. E poi c’è la questione lavorativa, è un mondo dentro un altro mondo, un mondo fatto anche di sfruttamento, di lavoro in nero, di maltrattamenti verso le persone e altri aspetti di completa illegalità. Anche questo me ne ha fatto prendere le distanze. Ma quello principale, definitivo, che mi ha portato a chiudere definitivamente è stato quello dei cavalli. Mi sono posto una domanda: ami l’equitazione o ami i cavalli? ami il lavoro con gli animali o ami gli animali? E la risposta è stata abbastanza chiara. Sono stato sempre una persona con un qualcosa dentro che mi spingeva verso le alternative. Cercavo sempre un modo alternativo per interagire con i cavalli. Chi mi conosce sa come lavoravo, come addestratore e cavaliere, il modo in cui gestivo le scuderie. Sono uno studioso e un appassionato di Etologia e sentivo che quello che in imparavo c’era qualcosa di sbagliato, di riduttivo, di estremamente superficiale nell’approccio con il cavallo. Me ne ero già accorto da adolescente verso i 14, 16 anni. Mi dicevo che non poteva essere solo così. Dal punto di vista lavorativo io potevo tranquillamente lavorare nel resto dell’Europa, dove una figura professionale che lavora a contatto con i cavalli esiste ed è tutelata. Ho infatti lavorato anche all’estero: Germania, Inghilterra, Irlanda.. Ma il mondo dell’equitazione era il medesimo che in Italia.
• Secondo la tua opinione, come vengono trattati questi animali? esiste davvero il benessere?
In parte ho già risposto. No il benessere non c’è. Tutto dipende dall’idea che si ha di benessere. In Italia e in Germania, diversamente dall’Irlanda e dall’Inghilterra, dipende tutto dal ciò che crediamo sia benessere. Se per benessere intendiamo non picchiarli, non renderli denutriti e non frustarli allora siamo a posto e si può parlare di benessere. Tantissime scuderie non picchiano i cavalli, li nutrono, tengono il manto alla perfezione ecc, ma questo concetto di benessere è limitante e superficiale. Per garantire il benessere per una specie devi conoscere cosa significa benessere per quella specie, ciò di cui ha bisogno e non cosa tu pensi erroneamente che sia un suo bisogno, tipo la sella di un certo modo, i parastinchi, la coperta, il prodotto per la criniera ecc. Tutto ciò scivola nell’antropomorfismo più becero e dozzinale e non ha niente a che vedere con il benessere animale. Quindi per me no, non esiste il benessere dei cavalli nelle scuderie. Ci sono pochissime realtà dove c’è un rapporto di un certo modo, con un rispetto di base che non prevede compromessi su quello che è il benessere di questa specie.
Che cos’è un cavallo? È un animale sociale e nomade. Questi sono die punti cardine. Quando li hai definiti, ti rendi conto di come quasi tutte le gestioni delle scuderie siano sbagliate e senza reale benessere per i cavalli. I cavalli non stanno bene. Un animale sociale lo chiudi in un box che nella migliore delle ipotesi è 4×4, lo escludi dall’interazione e dal contatto sociale costante con i suoi simili, lo escludi da quelle che sono le cure parentali che durano (nel caso dei cavalli) per tutta la vita, gli neghi la possibilità di esprimere pattern comportamentali che sono specie specifici (dal corteggiamento alla territorialità, per citarne due) e lo tieni sostanzialmente fermo. Fermo in un box per tutta la settimana tirandolo fuori da lì solo per essere allenato e montato, quindi per chiedergli di lavorare, oppure per un’ora di paddock 10×6 (nelle migliori delle ipotesi) da solo mentre vede altri cavalli lontani ai quali può solo nitrire. Tutto questo è all’ordine del giorno nelle scuderie in Italia. Se si tiene di conto della natura del cavallo e dell’etologia di questi animali, dei bisogni principali, non c’è il concetto di benessere. È vero poi che ci sono persone (in piena narrazione tossica) che credono di rispettare il benessere dei loro cavalli, ma non è così. Non è un benessere reale quello.
• C’è una situazione che ti ha particolarmente colpito?
In 15 anni di lavoro ce ne sono state tantissime di situazioni che mi hanno colpito, sia in Italia che all’estero. Ho visto cavalieri picchiare selvaggiamente i propri cavalli mentre li montavano perché quelli si rifiutavano di saltare, o approcciano con paura a un ostacolo per esempio. Ho visto maniscalchi prendere a bastonate cavalli che non avevano imparato bene a dargli il ‘piede’ (la zampa). Ho visto scuderie che gestiscono cavalli come un allevamento, come industrie. Ho lavorato in uno degli allevamenti più grandi d’Europa che ‘produce’ (uso questo verbo appositamente) oltre 1.500 puledri all’anno, e la metodologia di lavoro al suo interno è come quello di un’industria. Una catena di montaggio che produce pezzi. E chi conosce il mondo dell’industria sa che i pezzi che escono fallati vengono letteralmente scartati. Immaginate tutto ciò con i cavalli. Quello è stato uno dei punti che ha veramente rotto qualcosa dentro di me, perché non volevo essere complice di tutto ciò. Ci sono state tante situazioni che mi hanno colpito, sia in negativo che in positivo, ma quelle che lo hanno fatto in modo negativo sono state di più. Centinaia.
• Cosa ti ha portato ad allontanarti dal mondo dell’equitazione? Ti penti di qualcosa in particolare?
Il modo di concepire i cavalli, il rapporto con loro mi ha portato a prendere le distanze dal mondo dell’equitazione. Il concetto di Performance, come ho già detto, quell’idea che il cavallo debba funzionare, andare in un certo modo, lavorare in un certo modo, che deve fare questo, che deve fare quello.
Ero molto bravo nel mio lavoro, avevo le mie regole e spesso mi scontravo con gli altri. Le persone erano esigenti, alcune proprio incivili, egoiste, come malate, e gettavano le frustrazioni sul loro lavoro che coinvolgeva appunto i cavalli. Inoltre, anche la questione lavorativa. Non era un lavoro che permetteva di costruirsi una vita, almeno in Italia. Avrei potuto risolvere la cosa andando all’estero, rimanendo a lavorare lì, ma la questione dello stereotipo sui cavalli rimaneva.
Di cosa mi mento? Mi pento di non aver fatto nulla quando ho visto scene di violenza sui cavalli, di non aver fermato i maltrattamenti su di loro. Cose brutali che ti facevano pensare che quegli individui si meritavano lo stesso trattamento. Crudeltà su indifesi che la si può capire solo se la si vive davanti agli occhi.
• Quando hai conosciuto IHP e cosa significa per te l’esistenza di un centro di recupero simile?
Ho conosciuto IHP Italian Horse Protection nel 2015 o 2016. Sono rimasto stupito all’idea che esistesse una realtà simile in Italia, in Toscana, e per giunta vicino a me. Per me è stata un’emozione incredibile sapere che c’era un centro di recupero di cavalli maltrattati o salvati dalla morte. Sono andato subito a vedere che realtà fosse. IHP in Italia è un valore immenso. Non è solo un posto sicuro per i cavalli, ma anche avere una voce diversa, mostrare una via diversa per poter avere un rapporto con questi animali, che a mio avviso dovremmo solo venerare perché senza di loro non saremmo a questo punto dell’evoluzione. Venerarli come in India si venerano le vacche.
Un centro come IHP e tutti i rifugi che sono stati aperti di recente offrono una realtà diversa che non è per forza quella che viene dettata. In questi luoghi si mostra come i cavalli siano felici, stiano bene, che il 90% delle stereotipie (movimenti dovuti a stress) vengono annullate dal momento in cui il cavallo si ritrova a stare fuori, coi suoi simili. Questi centri dimostrano come non vi sia necessità di uso dei ferri agli zoccoli, di come la socialità aiuta i cavalli anziani e giovani. Sono creature felici che hanno un rapporto con gli umani del tutto diverso.
Se studiamo nella storia il rapporto fra umani e i cavalli, era così come è da IHP un tempo.
Questa associazione ha aperto un centro prezioso, perché mostra una visione diversa dei cavalli.

• Che differenza hai notato fra un cavallo utilizzato in equitazione e uno di quelli salvati da IHP?
Lo sguardo, il comportamento, il linguaggio del corpo, la varietà di espressioni che hanno i cavalli bradi io non li conoscevo quando lavoravo con i cavalli sebbene passassi 20 ore al giorno con loro.
Se si ha la volontà di vedere la differenza, i cavalli di una scuderia e quelli per esempio di IHP hanno una differenza enorme di espressione. Non ci sono tensioni (tic, il ‘ballo dell’orso’, fastidi, fare attenzione a chi scalcia, alle antipatie fra cavalli, ai movimenti da stress quotidiani nelle scuderie), c’è solo calma. Un cavallo libero è una creatura schiva. Il cavallo è un animale predato che come prima cosa ha bisogno di tranquillità, di stare nell’erba, di sbuffare, di vivere libero, di muoversi, interagire coi simili, La differenza fra un cavallo utilizzato per l’equitazione e uno che non lo è, è come quella fra un essere umano che vive sotto il più cieco totalitarismo e uno che vive libero di esternare ciò che sente di essere. Questo mi ha sconvolto più di tutto.
• Cosa ne pensi della trazione animale delle carrozze turistiche?
Sono un retaggio inutile del passato. Un tempo hanno avuto bisogno dei cavalli per trainare carrozze, ma adesso basta. Basta. Io questo lo condannavo già quando lavoravo nel mondo equestre. Condannavo l’attacco, sia a livello agonistico che per reddito. Ora più che mai. È un’usanza insensata e stupida quella di vedere una città su un mezzo trainato da un cavallo, non ha nemmeno scopo di analisi. È chiaro ed ed evidente che c’è sfruttamento, e una mancanza di benessere pesante. Non serve un veterinario per capire che quei cavalli non sono felici.
• Alcuni vetturini dicono che si instaura un rapporto di mutua collaborazione fra loro e i cavalli usati per trainare carrozze: cosa ne pensi?
Questa è una stupidaggine bella e buona. Assolutamente no. Togli le bardature ai cavalli e dimmi chi si avvicina di nuovo alla bardatura tolta. I cavalli vivono il presente, non hanno il concetto del tempo come lo abbiamo noi. Qualunque esperienza nuova loro fanno la valutano in base all’esperienza passata. Il cavallo non è un animale che ha piacere a stare bardato sotto al sole, camminando su sentieri dove non può decidere di camminare..
Quale rapporto di collaborazione con i vetturini?
Non esiste il rapporto di piacere dello stare insieme.
Questa è una narrazione tossica.
Abbiamo visto cavalli che stramazzano al suolo, con bardature pesanti, che sudano, che schiumano dalla bocca, con imboccature che spaccano la bocca, vertebre cerebrali..
Quale collaborazione è questa?
È veramente una scusa enorme che viene detta. Se il cavallo si avvicina al vetturino è per bisogno di socialità, perché quell’essere umano è l’unica fonte di socialità che ha perché magari e solo, e non perché ha voglia di farsi mettere bardature e finimenti. Quella è un’accettazione, lo dico io che ne ho messe tante.

• Desideri lanciare un messaggio?
Esiste un’altra via. Basta solo volerlo, non solo sui cavalli ma per tutto: animali, ambiente..
Il cavallo è un animale straordinario, antico, senza il quale non saremmo arrivati dove siamo ora.
Pensare che sia una furia che va domata o montato come una motocicletta è sbagliato.
Non esistono punti di incontro. È semplicemente sbagliato. Ogni anno i livelli delle competizioni aumentano, aumentano le Performance, e a pagarne le spese sono sempre e solo i cavalli.
Chi ama i cavalli deve prima cercare di capire che animale è, di cosa veramente ha bisogno.
Non serve essere scienziati, basta informarsi per capire che ciò che vediamo è sbagliato.
Quindi il messaggio che voglio lanciare è che c’è un’altra via. Non accettate la prima cosa che vi viene detta, che sono stupidi, che vanno messi in box ecc. Andate oltre. Visitate centri come IHP dove la formazione può essere fatta e l’informazione più approfondita è concreta.
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Ringrazio Emanuele per la sua intervista, per quanto ci ha raccontato della sua esperienza personale e per le parole spese su questi meravigliosi animali. Spero che le persone che li amano e che hanno una passione grande verso di loro, ma che ancora fanno parte del mondo dell’equitazione, possano comprendere cosa sostengono, quale realtà aiutano a tenere in piedi.
I cavalli e tutti gli altri animali meritano rispetto e libertà, perché esistono per vivere la loro vita, non per servirci come schiavi.
Carmen











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